Altraparola n. 2 – Per una critica della vita quotidiana
Pubblichiamo il n. 2 della rivista “Altraparola” (ISSN: 2612-3932) dedicato al problema di origine lefebvriana della critica della vita quotidiana. In questa pagina è liberamente scaricabile in pdf. Le copie cartacee sono disponibili in numero limitato e verranno distribuite su richiesta durante le presentazioni della rivista o inviate per posta dalla redazione. Per informazioni è possibile scrivere a: altraparolaredazione@gmail.com.
Scarica qui il volume completo in pdf: Altraparola n. 2/2019 – Per una critica della vita quotidiana
L’indice del n. 2 (dove sono indicati con un link anche gli articoli che abbiamo anticipato, prima dell’uscita ufficiale in questi ultimi mesi, nello spazio online della rivista) e l’editoriale che apre il volume:
Altraparola n. 2 – Per una critica della vita quotidiana
A cura di Francesco Biagi, Massimo Cappitti, Gianfranco Ferraro, Mario Pezzella, Pier Paolo Poggio
- Editoriale
- Michael Löwy, Il marxismo romantico/rivoluzionario di Henri Lefebvre
- Francesco Biagi, Critica e insubordinazione della vita quotidiana moderna: le radici lefebvriane del pensiero situazionista
- Simona De Simoni, Critica della vita quotidiana. Elementi per un’analisi femminista
- Gianfranco Marelli, L’irriducibile scarto e la miracolosa utopia. Una società di lavoratori senza lavoro
- Gianfranco Ferraro, La conversione del quotidiano: Foucault, e l’utopia come tecnica di vita
- Stefania Consigliere e Arianna Colombo, Il corpo tossico della modernità
- Mario Pezzella, Il fascismo come «stato d’animo»: Mario e il mago di Thomas Mann
- Eugenia Lamedica, Realtà virtuali e pratiche sociali: ricognizioni dall’economia dell’assenza
- Roberto Finelli, Al di là del terrore. Per una nuova antropologia
- Alberto Zino, Il consumo del capitalismo e la follia della psicanalisi
Letteratura
- Luca Lenzini, I cani del Sinai, oggi
- Antonio Tricomi, «M», uno script antifascista
- Poesie di: Annelisa Alleva, Francesco Nappo, Eugène Guillevic (traduzione di Jacopo Rasmi), Benoît Jutras (traduzione di Jacopo Rasmi), Paul Celan (traduzione di Matilde Manara)
Arti visive
- Alessandro Simoncini, Desiderare il comune. La casa sul mare di Robert Guedigian
- Ruggero Savinio, Figura mobile
- Arianna Lodeserto, 20 anni di solitudine. Sulle lezioni di Anselm Kiefer al Collège de France
Filosofia
- Francesco Biagi, Il fallimento della rivoluzione russa di fronte alla società rurale del suo tempo. Note a margine di “La rivoluzione russa e i contadini” di Pier Paolo Poggio
- Rino Genovese, Euro o Non Euro?
- Pier Paolo Poggio, Il pensiero e l’impegno di Giorgio Nebbia
Biografie degli autori
***
Editoriale
Il titolo di questo numero (con cui la rivista assume la sua veste grafica ed editoriale definitiva) ricorda un libro un tempo celebre di Henri Lefebvre, poi dimenticato, e che rivela ora nuove ragioni di leggibilità. La quotidianità è pervasa come non mai prima dall’astrazione e dagli ordini comunicativi del capitale, quando non ceda a forme regressive, compensatorie e minacciose di fascismo (che si infiltrano nei movimenti populisti e sovranisti). Tra questi due poli – il più astratto e il più arcaico – sembra disporsi un presente in cui diventa decisivo riuscire a riconoscere e creare forme di opposizione e di contraddizione. Viviamo, come constatiamo ogni giorno in modo non metaforico, nell’ «epoca dei muri», nascosti nelle nicchie del quotidiano, in cui fingiamo di non vedere, come coloro che abitavano intorno ai campi di concentramento durante la Shoah, gli orrori che ci circondano. In senso proprio occorrerebbe ricordare quel libro che Primo Levi intitolò «I sommersi e i salvati» e chiederci se non stiamo devastando la terra. Non solo con la violenza, col razzismo e con la xenofobia, ma anche col dissesto ecologico che minaccia di ridurre il nostro ambiente di vita a un luogo desertificato. Da questo punto di vista, ripartire dai fenomeni, dagli «stati d’animo», dalle tonalità affettive che dominano il quotidiano è una premessa necessaria per ogni proposito politico e teorico; sacrificando ogni pretesa di superiorità ideologica, che ormai rischia di ridursi a snobismo superfluo. Lefebvre lo aveva compreso, il suo lavoro va rinnovato di fronte alla nostra quotidianità.
Il nostro pare uno di quei momenti della storia che Benjamin definiva col termine di «dialettica in stato di sospensione» o «in sospeso» o «sospesa». Le forze in conflitto sono tese l’una contro l’altra in modo tale da non riuscire a prevalere o affermarsi in modo da determinare un nuovo evento, un’altra forma di vita o una decisione. «In sospeso» significa qui dunque tutto il contrario che «in quiete», come tendevano a pensare i pensatori della fine del secolo passato che si illudevano su una fine postmoderna della storia, dei grandi conflitti e delle grandi narrazioni. Le quali sono riprese a ritmo violento (dal fondamentalismo al neofascismo) e non sono purtroppo rassicuranti.
La nostra condizione può ricordare quella di Egli, il protagonista di una parabola di Kafka, più volte commentata dalla Arendt: «Egli ha due avversari: il primo lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti. Egli combatte con entrambi». Egli è sospeso nel conflitto tra un non essere più e un non essere ancora, che gli restano entrambi indecifrabili: con uno sforzo immane tenta nonostante tutto di ricostituire il legame redentivo tra passato e futuro, memoria e speranza, senza più disporre del patrimonio di una tradizione e di un linguaggio condivisi, che gli permettano di adempiere con garanzia di successo al suo compito. Ci troviamo dunque su una linea di lotta (Kampflinie) senza che nessuna delle ideologie e delle categorie di pensiero del secolo passato sia in grado di darci esaurienti descrizioni di quali siano e come siano composte le grandi forze in conflitto entro di noi e fuori di noi. Siamo anche su una linea nodale (come la chiamava Hegel), quando lo sgretolamento sordo e profondo nelle fondamenta dell’ordine simbolico dominante non è emerso ancora a visibilità e pure già produce crepe in tutte le pieghe dell’edificio.
Questo non vuol dire che ricordare il pensiero che – nel Novecento – si è sforzato di indicare un altro mondo possibile rispetto a quello in cui ora viviamo sia inutile; ma ciò che ci interessa va estratto con cura, con un’operazione critica, da insiemi e apparati concettuali, che non possono più essere assunti nella loro interezza. Ciò vale anche per le tradizioni di teoria critica a cui siamo più legati: la Scuola di Francoforte, Benjamin, Debord e il situazionismo, H. Arendt, M. Foucault. L’orizzonte di senso della nostra ricerca è quello di un «socialismo» libertario, che pone al centro – come ebbe a definirlo Marx nei Grundrisse – la nozione di «individuo sociale».
La critica dell’astrazione del capitale attualmente dominante deve procedere di pari passo col riconoscimento dei fallimenti di un socialismo storico reale, che si è disinteressato dei processi di soggettivazione e della loro importanza nella costruzione e nella conservazione del potere del capitale. Di qui la necessità di introdurre nel pensiero critico temi poco frequentati nel Novecento: la relazione tra l’individuo e l’ambiente naturale, il contrasto tra servitù volontaria e rivolta, il nesso che lega la psicologia individuale a quella collettiva (più che fare riferimento a una scuola psicoanalitica unica, in ognuna di esse occorre cogliere il punto di intersezione in cui i traumi del singolo fanno eco a quelli sociali).
Nella prospettiva di un «socialismo degli individui» vorremmo riproporre alcune forme di pensiero che il marxismo ortodosso prima, e poi strutturalismo e decostruzionismo, hanno lasciato ai margini della riflessione: si tratta di quella tradizione che nasce e si sviluppa con Socialisme ou barbarie, ed è presente in autori come Lefebvre, Lefort, Castoriadis, fino a Miguel Abensour. Una forma di riflessione che ripropone tra l’altro immagini di utopia concreta, come la definiva Ernst Bloch. Perché se la forza astratta del capitale, la sua teologia demonica e negativa, ci incalza dal passato e occorre quindi un pensiero critico che la decifri, non è meno vero che nelle sue pieghe sempre più intensamente contraddittorie si annidano figure incerte ma definibili del possibile, a cui vanno dati i contorni visibili: la «linea di lotta» richiede uno sguardo in entrambe le direzioni, e dunque non solo verso il capitale e il suo dominio, ma anche sulle brecce e i tentativi storici di realizzare forme di vite antagoniste (come la Comune di Parigi).
Poiché la nostra intenzione principale è quella di studiare i punti di annodamento e di formazione del soggetto nella sua costituzione attuale, i suoi «esistenziali storici», più che proporre teorie astratte, dedicheremo molta attenzione alla letteratura, alle arti visive, oltre che alla filosofia politica. Siamo convinti che l’arte (come sosteneva Levinas) costituisca una «messa in forma» della soggettività, che riveli le tonalità affettive ed esistenziali di un’epoca, le quali poi sono l’oggetto stesso del pensiero critico. In questo senso, la scelta delle opere e degli autori di letteratura, cinema, arti visive di cui ci occuperemo sarà decisamente tendenziosa e non diretta da puri valori estetici: cercando in essi rappresentazioni critiche del passato e del presente della soggettività prodotta dal capitale e immagini concrete di un possibile a venire, o almeno crepe, faglie, rotture della totalità del dominio.
La redazione:
Francesco Biagi
Massimo Cappitti
Gianfranco Ferraro
Mario Pezzella
Pierpaolo Poggio