Il Reale del capitalismo – di Alvise Marin
di Alvise Marin
Il Reale del capitalismo è ciò che la realtà del capitalismo stesso non può pensare perchè è per essa indicibile. E’ quell’impensato e quel non detto, quel non tematizzato e non simbolizzato, che incatena questo sistema al suo destino. Un destino che sta scritto nel suo particolare registro simbolico, la cui pietra angolare, il cui significante guida è Capitale. Il registro simbolico dis-piegato da questo significante e dal suo corollario, merce, articola catene di produzione del valore, in funzione del suo accumulo senza limiti. A questo fine il Capitale ha progressivamente polarizzato e sussunto nella propria astrazione ogni aspetto del vivente, riducendolo a fondo a disposizione, per alimentare la crescita infinita che gli è strutturalmente necessaria per mantenersi in vita. Un registro simbolico, che sarebbe meglio chiamare un registro di segni, che si scambiano operazionalmente l’uno con l’altro, non generando, in apparenza, alcun resto: eppure è proprio un resto non integrabile che lo può avviare al tramonto.
La realtà che l’essere umano abita è altra cosa dal Reale, è una costruzione simbolica, ovvero una costruzione di linguaggio: è il grande Altro, come lo chiamava Jacques Lacan. Per lui è infatti la struttura del linguaggio a far essere la realtà. A seconda poi della diversa declinazione di questa struttura, sorgono realtà diverse. Non esiste una Realtà unica, ma le realtà, e ognuna di esse trae origine e si sviluppa a partire dai quei determinati significanti primi che stanno alla radice del suo registro simbolico. Ogni realtà è composta da una rete di significanti, di parole, polarizzate da questi significanti primi e portanti, stesa sull’informità del Reale. Ogni realtà è un ritaglio, una partizione prospettica del Reale e come tale incapace di sussumerlo totalmente in sé. Ogni realtà è incrinata dal suo possibile andare a fondo, un andare a fondo che lascia emergere quel Reale, che la stessa realtà prefigura, nel momento in cui si fessura e dilegua. Ogni realtà, più che incompleta è strutturalmente mancante, costruendosi essa stessa attorno a quel suo buco che è il Reale.
Il Reale è il non simbolizzabile di una realtà, il resto della sua operazione simbolica, il vuoto che quella realtà non ha potuto mettere in forma simbolica, perchè essa stessa vi è stata costruita attorno, la sua parte maledetta in grado di scuoterne le fondamenta. Ogni realtà porta quindi con sé la sua ombra, ovvero quel non simbolizzabile generato dalla sua stessa partizione prospettica e parziale del Reale stesso. Questo vale per ogni realtà, quindi anche per la realtà del sistema capitalistico, che dobbiamo interrogare per comprendere quale sia la sua ombra, il suo scarto non simbolizzato e quindi non integrato.
Proviamo ora ad applicare alcune categorie della psicoanalisi al registro simbolico del Capitale e chiediamoci se la catastrofe climatica ventura e il suo corollario di epidemie, come quella da Covid-19 che sta colpendo l’intero pianeta, siano sintomi di una rimozione operata dal capitalismo o non piuttosto il ritorno nel/dal Reale di ciò che il registro simbolico del capitalismo stesso non ha simbolizzato ma forcluso, ovvero cancellato.
Nelle nevrosi, come insegna Freud, la rimozione dei contenuti penosi per la coscienza dell’Io si gioca all’interno del registro simbolico e comporta la loro trasformazione in contenuti inconsci. Questo rimosso, però, ritorna nella vita cosciente in quelle che vengono chiamate le formazioni dell’inconscio, tra le quali i sintomi. Questi ultimi sono delle formazioni simboliche decrittabili e quindi potenzialmente integrabili apres-coup nella coscienza.
Nelle psicosi, viceversa, come spiega Lacan, ciò che non è stato simbolizzato, ovvero ciò che è stato forcluso, non ritorna all’interno del registro simbolico, come i sintomi nevrotici, ma direttamente nel Reale. Questo significa che il soggetto, laddove non sia tenuto insieme da una compensazione immaginaria, si scompensa e comincia ad allucinarsi, ad esempio a percepire parole provenienti da fuori di sé.
Se passiamo dal piano del soggetto a quello del sistema economico sociale in cui, con disuguaglianze intollerabili ma non sufficienti a destabilizzarlo, l’intera umanità si trova a vivere, si può dire che quello che si sta annunciando oggi con il Corona virus non è tanto un sintomo del capitalismo, quanto un ritorno nel Reale di ciò che questo sistema non è stato in grado di simbolizzare, perchè forcluso ab origine.
Il significante Capitale ha polarizzato le catene significanti, che sostengono la realtà del sistema, riducendo la Terra e la vita che essa contiene a mezzo del suo incremento, in un processo di crescita infinita: a fronte di risorse limitate, come quelle del pianeta in cui viviamo, esso rappresenta una contraddizione senza soluzione e dagli esiti catastrofici. Quella che è stata forclusa all’origine, dall’astrazione totalizzante operata dal Capitale, è la vita nella sua infinita biodiversità, sono gli habitat naturali e gli aspetti sensibili delle cose che, alterati e manomessi dall’attitudine predatoria del sistema, cominciano ad incepparne il funzionamento. Il meccanismo simbolico del sistema, per quanto versatile e proteiforme possa essere, contiene perciò in sé un baco, che se in apparenza è ad esso esterno, in realtà è strutturale, perchè è un buco che alloggia al suo interno e che rischia di portarlo all’estinzione. In questo senso la pandemia da Covid-19 e quelle immediatamente passate e future, come i disastri ambientali indotti dai cambiamenti climatici operati a partire dalla realtà simbolica del Capitale, sono il ritorno nel Reale di quella natura che non ha mai ricevuto integrazione all’interno del registro simbolico del Capitale.
Scrive Franco Berardi Bifo: “Il capitalismo è un’assiomatica, cioè esso funziona sulla base di una premessa indimostrata (necessità della crescita illimitata che rende possibile l’accumulazione di capitale). Tutte le concatenazioni logiche ed economiche sono coerenti con quell’assioma, e nulla può essere concepito né tentato al di fuori di quell’assioma. Non c’è una via politica per uscire dall’assiomatica del Capitale, non c’è un linguaggio capace di parlare l’esterno del linguaggio, non c’è nessuna possibilità di distruggere il sistema, perché ogni processo linguistico si svolge all’interno di quell’assiomatica che non rende possibili enunciati efficaci extrasistemici. La sola via d’uscita è la morte, come abbiamo imparato da Baudrillard”.
Se il capitalismo ha retto fino ad oggi, nonostante la devastazione sociale, economica e ambientale che ha prodotto, è stato grazie alla compensazione immaginaria che ha illuso le persone di poter migliorare le loro condizioni di vita in maniera sostanziale, irretendole in immagini di sogno. Ha retto grazie alla gadgetizzazione dei consumi, che ha invaso le nostre vite di bisogni e oggetti inutili e alla colonizzazione dell’immaginario che, attraverso il dettato ipnotico dei media, diventati vere e proprie armi di distrazione di massa, ha permesso ad ognuno di confezionarsi delle fragili identità pret a porter, pronte a sfrangiarsi sotto l’urto del Reale. Tutto ciò è in crisi e il sistema capitalistico, come fosse un soggetto psicotico, comincia a scompensarsi.
L’inquinamento della vita, in tutte le sue forme, le catastrofi climatiche e le epidemie ad essi connessi, sono strutturali a questo sistema, sono inscritte nel Reale forcluso dal suo registro simbolico, e come tali non possono essere decifrate, simbolizzate e integrate, perchè questo richiederebbe un ordine simbolico polarizzato da altri significanti guida, che non siano il Capitale. Ancora Bifo scrive: “Il capitalismo ha potuto sopravvivere al collasso finanziario del 2008 perché le condizioni del collasso erano tutte interne alla dimensione astratta del rapporto tra linguaggio finanza ed economia. Non potrà sopravvivere al collasso dell’epidemia perché qui entra in campo un fattore extrasistemico”.
E’ tempo di immaginare una costellazione di significanti guida, in grado di generare una nuova polarizzazione del registro simbolico, ovvero una nuova realtà: per farci uscire dalla condizione necrotizzante, in cui la realtà generata dal significante Capitale divora incessantemente la vita.
Un registro simbolico che riattivi la connessione tra l’uomo e il pianeta, con l’Altro dentro e fuori di noi, ri-territorializzando legami, risorse e catene di produzione: uscendo dall’astrazione universale della merce, che nulla sa e nulla vuole sapere del lavoro e della pena che stanno dietro la sua produzione; con le banche e la finanza che abbandonano la loro azione speculativa a favore di una funzione sociale. Se anche la decotta globalizzazione ci sarà ancora, essa dev’essere governata, evitando quella frenesia patologica da movimento ipercinetico, che è stata una delle cause del cambiamento climatico e dello scatenamento dell’epidemia. Senza l’illusione che una nuova polarizzazione del registro simbolico possa assorbire in sé, in toto, il Reale, possa saturarlo, suturarlo, in quanto un resto, un maledetto e benefico resto di Reale rimarrà sempre. Ma tutto questo non sarà possibile se non a partire dal riconoscimento che questo resto, questo cascame non governabile, prima che fuori, sta dentro di noi, e richiede la ricerca, e talvolta la creazione, delle parole in grado di nominarlo e perciò stesso di integrarlo, nella nostra coscienza individuale e collettiva.
Se l’immaginario è un registro che ci ancora narcisisticamente alla riproduzione speculare dello Stesso, generando in questo modo violenza e terrore, quello di cui invece abbiamo bisogno, per veicolare nel registro simbolico nuovi significanti, è l’immaginazione, come dice sempre bene Bifo: “Terrore è una condizione in cui l’immaginario domina completamente l’immaginazione. L’immaginario è l’energia fossile della mente collettiva, le immagini che l’esperienza vi ha depositato, limitazione dell’immaginabile. L’immaginazione è l’energia rinnovabile e impregiudicata. Non utopia ma ricombinazione dei possibili. C’è una divaricazione nel tempo che viene: potremmo uscirne immaginando una possibilità che fino a ieri appariva impensabile: redistribuzione del reddito, riduzione del tempo di lavoro. Eguaglianza, frugalità, abbandono del paradigma della crescita, investimento delle energie sociali nella ricerca, nell’educazione, nella sanità”.
Se Capitale è stato il significante guida di un sistema del quale si spera sempre di intravedere il crepuscolo, Cura potrebbe essere quello di un registro simbolico che integri ciò che sta dentro e fuori di noi, in una dimensione di co-appartenenza. A partire da questa radice, Cura, e da alcuni suoi corollari come consapevolezza, responsabilità, condivisione, desiderio, amore, la nostra immaginazione sarà poi in grado di articolare adeguate relazioni per ridare linfa all’albero della vita.
Note:
* Le citazioni di Bifo sono tratte da un suo scritto in progress che si trova all’indirizzo https://not.neroeditions.com/cronaca-della-psicodeflazione/