Poesie di Wanda Marasco, Henri Michaux, René Char.
WANDA MARASCO
Maschera
se ti ho amata
forse è accaduto per l’incanto
di ripetere fingendo e vivendo
la scena della grazia
la scena del terrore
un sangue stanco
un prigioniero
un giorno.
Un solo giorno eterno da sfoliare
finché non fosse mesta e più segreta
la rotta che portava a un doloroso nulla.
* * *
L’aveva gelata la rosa lasca
l’inverno interiore
l’inverno di casa.
Un sovrasenso nell’angolo della terrazza
di quella forma fiorita e passata.
Il morire – per unità di tema –
era tornato a fare l’ultima coscienza
a ravanare tra i vecchi lampi
il nome amato.
Poi c’era il battito
che decifrava una scadenza.
E l’hai sentito come mimava
per sangui e per nimbi
la rondine nascosta dentro il polso
il povero ritmo dell’ultimo idillio
in lenimento
o all’assalto della parola addio.
* * *
Questi giorni
dell’ombra portata in braccio
maschera della timidezza
e bozzolo di verità
insorgono dall’Oscuro
per confessare come si spinge
verso un riparo
il racconto del corpo
e il ritmo lacrimato dell’amore
che sembra vita e acqua che scorre.
* * *
Ora devo fingere la neve
scrollata dalla carne
il cardiaco colore alla finestra
la pena del guitto
in modo che il dramma rida
e faccia la sua parte
la scena vuota di prodigi.
Ma prima traccerei su un foglio
il filo del futuro e la rivolta.
Domani
in un solo certo domani
vorrei imparare a dire
chiudete la porta
lasciate nella stanza
queste piccole campane della peste
e l’odore buono del pane.
Insieme
la paura e il pane.
* * *
Recito:
là sono i vicoli le mura i talismani marini
la calamita di un giardino a cui ho dato
la memoria dell’albero più custodito
e l’ombra avvilita del cane da guardia.
In fondo
la meditazione del Vulcano,
l’ampolla in bilico sul mare
del bambino stuprato.
E sarà questo dopo il curvo orizzonte
qui, al centro delle cose consumate
“l’inferno credibile che rende credibile l’uomo”.
Quante volte si dice
soltanto questo che vale:
il residuato di un vecchio sguardo,
l’ansare dei cammini di vetro
il ferrigno attrito vissuto.
Vale il congegno
che dopo la psiche dell’infanzia
vide irriparabile l’uomo all’uomo
e rotto l’alito della sua maschera.
HENRI MICHAUX
Rincasare
Esitavo a rincasare dai miei genitori. Quando piove, come fanno ? Poi mi rammentai che c’era un soffitto in camera mia. « Comunque sia ! » e, diffidente, non volli rincasare.
Adesso mi chiamano invano. Fischiano, fischiano nella notte. Ma invano si servono del silenzio notturno per giungere sino a me. Assolutamente invano.
Rentrer
J’hésitais à rentrer chez mes parents. Quand il pleut, comment font-ils ? Puis je me rappelai qu’il y avait un plafond dans ma chambre. « N’empèche ! » et, méfiant, je ne voulus rentrer.
C’est en vain qu’ils m’appellent maintenant. Ils sifflent, ils sifflent dans la nuit. Mais c’est en vain qu’ils usent du silence de la nuit pour arriver jusqu’à moi. C’est absolument en vain.
[da « Lointain intérieur », in Plume, Parigi, Gallimard/Folio, 2014 (1963), p. 24. Traduzione di Jacopo Rasmi]
Nel letto
Questa mia malattia mi condanna all’immobilità assoluta nel letto. Quando la noia prende proporzioni eccessive, nocive al mio equilibrio qualora non si intervenga, ecco cosa faccio:
Mi schiaccio il cranio e lo stendo davanti a me per quanto possible e quando é appiattito come si deve, sfodero la cavalleria. Gli zoccoli picchiano limpidi su questo suolo compatto e giallastro. Gli squadroni prendono immediatamente il trotto, scalpitando e scalciando. E quel rumore, quel ritmo netto e molteplice, quell’ardore che sa di lotta e di Vittoria, invaghisce l’animo di colui che è inchiodato al letto e non puo fare alcun movimento.
Au lit
La maladie que j’ai me condamne à l’immobilité absolue au lit. Quand mon ennui prend des proportions excessives et qui vont me déséquilibrer si l’on n’intervient pas, voici ce que je fais :
J’écrase mon crâne et l’étale devant moi aussi loin que possible et quand c’est bien plat, je sors ma cavalerie. Les sabots tapent clair sur ce sol ferme et jaunâtre. Les escadrons prennent immédiatement le trot, et ça piaffe et ça rue. Et ce bruit, ce rythme net et multiple, cette ardeur qui respire le combat et la Victoire, enchantent l’âme de celui qui est cloué au lit et ne peut faire un mouvement.
[da « Mes proprietés », in La nuit remue, Parigi, Gallimard/Folio, 2019 (1967), p. 128. Traduzione di Jacopo Rasmi]
RENÉ CHAR
Maddalena col lume notturno
(Di Georges de la Tour)
Vorrei oggi che fosse bianca l’erba
per calpestare il tuo dolore evidente;
non guarderei sotto la tua giovane mano
la forma dura e smaltata della morte.
Un giorno qualunque
altri anche se di me meno avidi
ti spoglieranno della camicia di tela,
occuperanno il tuo letto.
Ma dimenticheranno partendo
di affiocare il lume notturno,
un po’ d’olio si spanderà
dalla lama di fiamma
sulla soluzione impossibile.
Madeleine à la veilleuse
(Di Georges de la Tour)
Je voudrais aujourd’hui que l’herbe fût blanche pour fouler l’évidence de vous voir souffrir: je ne regarderais pas sous votre main si jeune la forme dure, sans crépi de la mort. Un jour discrétionnaire, d’autres pourtant moins avides que moi, retireront votre chemise de toile, occuperont votre alcôve. Mais ils oublieront en partant de noyer la veilleuse et un peu d’huile se répandra par le poignard de la flamme sur l’impossible solution.
[da Oeuvres complètes, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1983, p. 276, Traduzione di Mario Pezzella]
Selezione da Festa degli alberi e del cacciatore
L’inizio di libertà forse
o la speranza di una piaga viva
in alto sulla cima porti,
pioppo gigante simile a un’ogiva?
Chi nella freddezza ci chiama?
Per continuare a mentire
esortano il colpo del fucile,
ad uscire, lui, dalla sua tana.
Mantidi, sui vostri steli strazianti,
la panacea dell’incendio porta
il lampo nella vostra notte,
alla vista dei vostri amori violenti.
L’allodola non appena la rischiara il sole
scintilla e crea del desiderio il canto;
e la terra degli affamati vuole
inerpicarsi al suo vivente incanto.
Camminano insieme il tempo ed il dolore,
che volontà li ha uniti?
Voi atone rondini sfinite,
prendete intimità con loro.
*
Il cacciatore
Foresta, nella noia che ho di te mi vedano andare,
tu che nell’emozione di tutti sai restare,
riconosciuta appena, dalle porte distante.
Davanti alla scintilla del vuoto,
tu non sei mai sola, grande nel tuo dileguare!
Il bagliore della foresta incendiata
Grazie, e la morte stupisce:
grazie, la morte non insiste;
grazie, il giorno svanisce;
un semplice grazie ad un uomo,
se tiene in scacco lo scampanio della fine.
Selezione da Fête des arbres et du chasseur[1]
Est-ce l’abord des libertés,
l’espérance d’une plaie vive,
qu’à votre cime vous portez,
peuplier à taille d’ogive?
Les appelants dans la froidure
exhortent le feu du fusil
à jaillir de la cage, lui,
pour maintenir leur imposture.
La panacée de l’incendie,
mantes, sur vos tiges cassantes,
porte l’éclair dans votre nuit,
en vue de vos amours violentes.
L’alouette à peine éclairée
scintille et crée le souhait qu’elle chante;
et la terre des affamés
rampe vers cette vivante.
Douleur et temps flânent ensemble.
quelle volonté les assemble?
Prenez, hirondelles atones,
confidence de leur personne.
*
Le chasseur:
Il faut nous voir marcher dans cette ennui de vous,
forêt qui subsistez dans l’émotion de tous
à distance des portes, à peine reconnue.
Devant l’entincelle du vide,
vous n’êtes jamais seule, ô grande disparue!
Lueur de la forêt incendiée
Les guitares
Merci, et la Mort s’étonne;
merci, et la Mort n’insiste pas;
merci, c’est le jour qui s’en va;
merci simplement à un homme
s’il tient en échec le glas.
[1] Si tratta di un dialogo poetico tra una prima chitarra, una seconda chitarra e un cacciatore. Le quartine tradotte appartengono tutte alla parte della prima chitarra.
[da Oeuvres complètes, Gallimard, Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1983, p. 284 e sgg. Traduzione di Mario Pezzella]