OPPIO DEL POPOLO? MARXISMO CRITICO E RELIGIONE – di MICHAEL LOWY

OPPIO DEL POPOLO? MARXISMO CRITICO E RELIGIONE – di MICHAEL LOWY

28 Febbraio 2021 Off di Francesco Biagi

di MICHAEL LOWY [1]

 

Sostenitori e avversari del marxismo sembrano concordare su un punto: la famosa frase «La religione è l’oppio del popolo» rappresenta la quintessenza della concezione marxista del fenomeno religioso. In realtà, questa formula non ha nulla di specificamente marxista. Si può trovare, prima di Marx, con diverse sfumature, in Kant, Herder, Feuerbach, Bruno Bauer e molti altri. Prendiamo due esempi di autori vicini a Marx.

Nel suo libro su Ludwig Börne del 1840, Heine si riferisce al ruolo narcotico della religione piuttosto positivamente – con un pizzico di ironia: «Benedetta sia una religione, che versa nell’amaro calice dell’umanità sofferente alcune dolci e soporifiche gocce? di oppio spirituale, alcune gocce? di amore, fede e speranza».

Moses Hess, nei suoi saggi pubblicati in Svizzera nel 1843, assume una posizione più critica – ma non priva di ambiguità: «La religione può rendere sopportabile… la coscienza infelice della schiavitù… nello stesso modo in cui l’oppio è di grande aiuto nelle malattie dolorose»[2].

L’espressione appare poco dopo nel saggio di Marx Critica del diritto statuale hegeliano (1844). Una lettura attenta dell’intero paragrafo dimostra che il suo pensiero è più complesso di quanto si pensi abitualmente. In realtà, pur respingendo la religione, Marx tiene conto del suo duplice carattere: «La miseria della religione è allo stesso tempo l’espressione della vera miseria e la protesta contro questa vera miseria. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una situazione senza spiritualità. È l’oppio del popolo»[3].

Una lettura del saggio nel suo insieme mostra chiaramente che il punto di vista di Marx nel 1844 deriva più dal neo-hegelianismo di sinistra, che vede nella religione l’alienazione dell’essenza umana, che dalla filosofia dell’Illuminismo, che la denuncia semplicemente come una cospirazione clericale (il «modello egiziano»). In effetti, quando Marx scrisse il passaggio di cui sopra, era ancora un discepolo di Feuerbach, un neo-hegeliano. La sua analisi della religione era dunque «pre-marxista», senza riferimento alle classi sociali e piuttosto a-storica. Ma essa non era meno dialettica, perché comprendeva il carattere contraddittorio della «miseria» religiosa: a volte legittimazione della società esistente, a volte protesta contro di essa. Solo più tardi – in particolare nell’Ideologia tedesca (1846)[4] – iniziò lo studio propriamente marxista della religione come realtà sociale e storica. L’elemento centrale di questo nuovo metodo di analisi dei fatti religiosi è di considerarli – insieme con il diritto, la morale, la metafisica, le idee politiche, ecc. – come una delle molteplici forme dell’ideologia, cioè della produzione spirituale (geistige Produktion) di un popolo, la produzione di idee, rappresentazioni e forme di coscienza, necessariamente condizionata dalla produzione materiale e dalle relazioni sociali corrispondenti.

Si potrebbe riassumere questo approccio con un passaggio «programmatico» che appare in un articolo redatto qualche anno più tardi: «È chiaro che, con ogni grande rivolgimento storico delle condizioni sociali, si sovvertono anche le concezioni e le idee degli uomini e perciò le loro idee religiose»[5]. Questo metodo di analisi macrosociale avrà un’influenza duratura sulla sociologia delle religioni, anche al di là del modo di pensare marxista.

A partire dal 1846, Marx non prestò che un’attenzione distratta alla religione in quanto tale, come universo culturale/ideologico specifico. Nella sua opera non si trova praticamente nessuno studio più articolato di un fenomeno religioso qualsiasi. Convinto che, come afferma già nell’articolo del 1844, la critica della religione deve trasformarsi in critica di questa valle di lacrime e la critica della teologia in critica della politica, egli sembra distogliere la sua attenzione dall’ambito religioso.

È forse a causa della sua educazione pietista che Friedrich Engels ha mostrato un interesse molto più sostenuto di Marx per i fenomeni religiosi e il loro ruolo storico – pur condividendo, beninteso, le opzioni decisamente materialiste e atee del suo amico. Il suo principale contributo alla sociologia marxista delle religioni è senza dubbio la sua analisi del rapporto tra le rappresentazioni religiose e le classi sociali. Il cristianesimo, per esempio, non appare più nei suoi scritti (come in Feuerbach) come «essenza» a-storica, ma come una forma culturale («ideologica») che si trasforma nel corso della storia e come uno spazio simbolico, conteso da forze sociali antagoniste. Grazie al suo metodo basato sulla lotta di classe, Engels ha capito – contrariamente ai filosofi illuministi – che il conflitto tra materialismo e religione non sempre si identifica con quello tra rivoluzione e reazione. In Inghilterra, per esempio, nel XVII secolo, il materialismo nella persona di Hobbes difese la monarchia, mentre le sette protestanti fecero della religione la loro bandiera nella lotta rivoluzionaria contro gli Stuarts. Allo stesso modo, lungi dal concepire la Chiesa come un’entità sociale omogenea, egli traccia una notevole analisi che dimostra come in alcune congiunture storiche essa si divida secondo le sue componenti di classe. Così, all’epoca della Riforma, da una parte c’era l’alto clero, vertice feudale della gerarchia, e dall’altra il basso clero, che forniva gli ideologi della Riforma e del movimento contadino rivoluzionario[6].

Pur restando materialista, ateo e avversario irreconciliabile della religione, Engels comprendeva, come il giovane Marx, la duplice natura di questo fenomeno: il suo ruolo nella legittimazione dell’ordine stabilito, così come – in alcuni contesti sociali – il suo ruolo critico, contestatore e persino rivoluzionario. Più ancora, è questo secondo aspetto che si trova al centro della maggior parte dei suoi studi concreti. In effetti, si è rivolto prima di tutto al cristianesimo primitivo, religione dei poveri, esclusi, dannati, perseguitati e oppressi. I primi cristiani erano originari degli ultimi ranghi della società: schiavi, liberti privi di diritti e piccoli contadini oppressi dai debiti. Engels arrivò persino a stabilire un sorprendente parallelo tra il cristianesimo primitivo e il socialismo moderno. La differenza essenziale tra i due movimenti era che i cristiani primitivi dislocavano la redenzione nell’aldilà mentre il socialismo la poneva in questo mondo[7].

Ma questa differenza è così netta come appare a prima vista? Nel suo studio su un secondo grande movimento cristiano – la guerra dei contadini in Germania – sembra perdere la sua drasticità: Thomas Münzer, il teologo e dirigente dei contadini rivoluzionari e plebei eretici del XVI secolo, voleva la realizzazione immediata del Regno di Dio, del regno millenarista dei profeti, sulla terra. Secondo Engels, il Regno di Dio era per Münzer una società senza differenze di classe, senza proprietà privata e senza autorità dello Stato indipendente o estranea ai membri di questa società[8]. Con la sua analisi dei fenomeni religiosi alla luce della lotta di classe, Engels ha rivelato il potenziale contestatario della religione e ha aperto la strada ad un nuova considerazione dei rapporti tra religione e società – distinta sia dalla filosofia illuminista che dal neo-hegelianesimo tedesco.

La maggior parte degli studi marxisti sulla religione scritti nel XX secolo si sono limitati a commentare o a sviluppare le idee abbozzate da Marx ed Engels, o ad applicarle a una realtà particolare. Così, per esempio, gli studi storici di Karl Kautsky sul cristianesimo primitivo, sulle eresie medievali, Thomas More e Thomas Münzer.

Nel movimento operaio europeo, molti marxisti erano radicalmente ostili alla religione, ma pensavano allo stesso tempo che la lotta dell’ateismo contro l’ideologia religiosa dovesse essere subordinata alle necessità concrete della lotta di classe, che esige l’unità dei lavoratori che credono in Dio e di quelli che non ci credono. Lo stesso Lenin – che denunciava spesso la religione come «nebbia mistica» – insiste nel suo articolo del 1905, «Il socialismo e la religione» sul fatto che l’ateismo non doveva far parte del programma del partito perché «l’unità nella lotta realmente rivoluzionaria della classe oppressa per la creazione di un paradiso sulla terra è per noi più importante dell’unità dell’opinione proletaria sul paradiso in cielo»[9].

Rosa Luxembourg era dello stesso parere, ma elaborò un approccio diverso e più flessibile. Pur essendo atea, nei suoi scritti essa criticò non tanto la religione in quanto tale, quanto la politica reazionaria della Chiesa, in nome della sua stessa tradizione. In un opuscolo del 1905, La Chiesa e il socialismo, affermò che i socialisti moderni erano più fedeli ai precetti originari del cristianesimo del clero conservatore di oggi. Poiché i socialisti si battono per un ordine sociale di uguaglianza, libertà e fraternità, i sacerdoti dovrebbero accogliere favorevolmente il loro movimento, se volessero onestamente applicare nella vita dell’umanità il precetto cristiano «Ama il tuo prossimo come te stesso». Quando il clero sostiene i ricchi, che sfruttano e opprimono i poveri, essi sono in contraddizione esplicita con gli insegnamenti cristiani: non servono Cristo ma il vitello d’oro. I primi apostoli del cristianesimo erano comunisti appassionati e i Padri e primi Dottori della Chiesa (come Basilio Magno e Giovanni Crisostomo) denunciavano l’ingiustizia sociale. Oggi questa causa è stata ripresa dal movimento socialista che porta ai poveri il vangelo della fraternità e dell’uguaglianza, e chiama il popolo a stabilire sulla terra il Regno della libertà e dell’amore del vicino. Piuttosto che ingaggiare una battaglia filosofica in nome del materialismo, Rosa Luxembourg cerca di salvare la dimensione sociale della tradizione cristiana per trasmetterla al movimento operaio[10].

Nell’Internazionale comunista si prestava poca attenzione alla religione. Un numero significativo di cristiani aderì al movimento, e un ex pastore protestante svizzero, Jules Humbert-Droz, divenne negli anni Venti, uno dei principali dirigenti del Comintern. All’epoca, l’idea più diffusa tra i marxisti era che un cristiano che diventava socialista o comunista abbandonava necessariamente le sue precedenti credenze religiose «anti-scientifiche» e «idealiste». La meravigliosa opera teatrale di Bertold Brecht, Santa Giovanna dei Macelli (1932), è un buon esempio di questo tipo di approccio semplicistico nei confronti della conversione dei cristiani alla lotta per l’emancipazione proletaria. Brecht descrive con grande talento il processo che porta Giovanna, dirigente dell’Esercito della Salvezza, a scoprire la verità sullo sfruttamento e l’ingiustizia sociale, e a denunciare le sue antiche credenze, al momento della morte. Ma per lui deve esserci una rottura assoluta e totale tra la sua vecchia fede cristiana e il suo nuovo credo di lotta rivoluzionaria. Poco prima di morire, Giovanna dice ai suoi amici: «E dunque se uno sta in basso e dice che c’è un dio, che nessuno vede e che può essere invisibile e che pure ci aiuta, bisogna sbattergli il capo sulle pietre, finché crepi»[11].

L’intuizione di Rosa Luxembourg secondo cui si poteva lottare per il socialismo in nome dei veri valori del cristianesimo originale, si è persa in questo tipo di prospettiva «materialista» grossolana – e piuttosto intollerante. In effetti, alcuni anni dopo che Brecht scrisse questo pezzo, apparve in Francia, tra il 1936 e il 1938, un movimento di cristiani rivoluzionari che riuniva diverse migliaia di militanti che sostenevano attivamente il movimento operaio, in particolare la sua ala più radicale (i socialisti di sinistra di Marceau Pivert). La loro parola d’ordine principale era: «Siamo socialisti perché siamo cristiani».

Tra i dirigenti e pensatori del movimento comunista, Gramsci è probabilmente quello che ha manifestato il maggiore interesse per le questioni religiose. È anche uno dei primi marxisti che cerchi di comprendere il ruolo contemporaneo della Chiesa cattolica e il peso della cultura religiosa nelle masse popolari. Le sue osservazioni sulla religione nei suoi Quaderni dal carcere sono frammentarie, non sistematiche e allusive, ma comunque molto acute. La sua critica corrosiva e ironica delle forme conservatrici della religione – in particolare la versione gesuitica del cattolicesimo, che detestava con tutto il cuore – non gli impediva di percepire anche la dimensione utopica delle idee religiose.

Gli studi di Gramsci sono ricchi e stimolanti, ma in ultima analisi, non innovano il modo di intendere la religione. Ernst Bloch è il primo autore marxista ad aver cambiato questo quadro teorico – senza abbandonare la prospettiva marxista e rivoluzionaria. In un approccio simile a quello di Engels, distingue due correnti sociali opposte: da una parte, la religione teocratica delle chiese ufficiali, oppio del popolo, apparato di mistificazione al servizio dei potenti; dall’altra la religione clandestina, sovversiva ed eretica dei catari, degli hussiti, di Gioacchino da Fiore, Thomas Münzer, Franz von Baader, Wilhelm Weitling e Léon Tolstoï. Nelle sue forme protestatarie e ribelli, la religione è una delle forme più significative della coscienza utopica, una delle più ricche espressioni del Principio Speranza e una delle più potenti rappresentazioni immaginarie del non-ancora-esistente[12].

Bloch, come il giovane Marx della famosa citazione del 1844, riconosce evidentemente il doppio carattere del fenomeno religioso, il suo aspetto oppressivo insieme al suo potenziale di rivolta. Per comprendere il primo occorre ciò che egli chiama «la corrente fredda del marxismo»: l’analisi materialistica spietata delle ideologie, degli idoli e degli idolatri. Per il secondo, invece, bisogna ricorrere alla «corrente calda del marxismo», per cercare di salvaguardare il surplus culturale utopico della religione, la sua forza critica e anticipatrice.

Marx ed Engels pensavano che il ruolo sovversivo della religione fosse un fenomeno del passato, senza significato per l’epoca della lotta di classe moderna. Questa previsione si è rivelata giusta per un secolo – con alcune importanti eccezioni, in particolare in Francia dove ci sono stati i socialisti cristiani degli anni 1930, i sacerdoti operai degli anni 1940, la sinistra dei sindacati cristiani (CFTC) negli anni 1950, ecc. Ma per capire quello che succede da trent’anni in America Latina – la teologia della liberazione, i cristiani per il socialismo – bisogna tener conto delle intuizioni di Bloch sul potenziale utopistico di alcune tradizioni religiose.

 

Note:

[1] Articolo apparso nella rivista Contretemps, n° 12, février 2005.

[2] Questo riferimento e altri simili sono citati da Helmut Golwitzer nel suo articolo « Marxistische Religionskritik und christicher Glaube », Marxismusstudien, Vierte Folge, J. C. Mohr, Tübingen, 1962, pp. 15-16.

[3] K. Marx-F. Engels, Scritti sulla religione, Garzanti, Milano 1973, pp. 65-66. Trad. modificata in aderenza al testo francese.

[4] Cfr. Karl Marx, Friedrich Engles,  Die Deutsche Ideologie, Berlin, Dietz Verlag, pp. 22-35.

[5] K. Marx-F. Engels, “Recensione del libro di G. Fr. Daumer ‘La religione della nuova età del mondo’, Amburgo 1850”, in Scritti sulla religione, cit. p. 159.

[6] Cfr. F. Engels, “Lo sviluppo del socialismo dall’utopia alla scienza”, in Scritti sulla religione, cit. p. 312 e sgg; “La guerra dei contadini tedeschi”, in Scritti sulla religione, cit. p. 162 e sgg.

[7] F. Engels, Per la storia del cristianesimo primitivo, in Scritti sulla religione, cit. p. 335 e sgg.

[8] Cfr, “La guerra dei contadini tedeschi”, cit.

[9] V. I. Lenin, Socialism and Religion, 1905, in Collected Works, Moscou, Porgress, 1972, vol. 10, p. 86.

[10] Cfr. R. Luxemburg, Kirche und Sozialismus, 1905, in Internationalismus und Klassenkampf, Neuwied, Luchterhand, 1971, pp. 44-47, 67-75.

[11] B. Brecht, “Santa Giovanna dei Macelli”, Teatro, vol. I, Einaudi, Torino 1963, p. 725.

[12] Cf. E. Bloch, Il principio speranza (3 vol.), Garzanti, Milano, 2005, et Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano, 2008. L’opera di Lucien Goldman rappresenta un altro tentativo di aprire la strada al rinnovamento dello studio marxista della religione, di ispirazione molto diversa da quella di Bloch. Nel suo libro Il Dio nascosto (1955), cerca di confrontare – senza per questo assimilare l’una all’altra – la scommessa pascaliana sull’esistenza di Dio e la scommessa marxista sulla liberazione dell’umanità. Entrambe sono fondati su una fede, una credenza in valori transindividuali, che non è dimostrabile al solo livello dei giudizi di fatto: Dio per quanto riguarda la religione, la comunità umana del futuro per quanto riguarda il socialismo. Ciò che li separa è naturalmente il carattere soprannaturale e superstorico della trancendenza religiosa.