Poesie di WALLACE STEVENS da Owl’s Clover (1936), traduzione di Matilde Manara
La vecchia e la statua
I
Un’altra sera in un altro parco,
Un gruppo di cavalli in marmo apriva le ali
In un cerchio di alberi. Le foglie degli alberi
Rincorrevano i cavalli in uragani luminosi.
II
Lo scultore aveva previsto tutto: l’autunno,
Il cielo sopra lo spiazzo che si allarga
Davanti ai cavalli, nuvole di bronzo impresse
Su nuvole d’oro, e il verde che inghiotte il bronzo,
Il marmo lanciato nelle tempeste di luce.
Ecco cosa aveva escogitato: le bianche zampe anteriori tese
Fino all’estremità dei muscoli per il salto vivace
Le teste tenute alte e riunite in un cerchio
Al centro del gruppo, le anche basse,
Ritorte, vacillanti per lo spingere contro
La terra, mentre i corpi si alzavano su ali di piume,
Ciuffi di incisioni , circolari, come ventagli smussati
Disposti a fantasia a formare un bordo
Di luce rovente lungo il bordo della statua.
Molto più della sua mano infangata era nelle criniere,
Molto più della sua mente nelle ali. Le foglie marcite
Vorticavano intorno a loro in immensi suoni d’autunno.
III
Ma lei non l’aveva prevista: la mente amara
In un cappotto aperto. Camminava lungo i sentieri
Del parco con la fronte di gesso rigata di nero
E nera per il pensiero che non poteva capire
O, se capiva, si reprimeva
Senza pietà in una fantasia sonnolenta.
Le nuvole dorate che diventavano di bronzo, i suoni
Che calavano, non toccavano il suo occhio e lasciavano
Il suo orecchio impassibile. Era lei quella tormentata,
Così indigente che nulla restava di lei tranne
Se stessa e niente di se stessa tranne
Una paura troppo nuda per la forma della sua ombra.
Cercare la chiarezza tutto un pomeriggio
E senza sapere, e poi nel vento
Sentire il colpo della propria solitudine certa,
Quale suono potrebbe distoglierla dalla sensazione improvvisa?
Quale sentiero potrebbe allontanarla da ciò che era
E da ciò che doveva diventare? Poteva essere questo,
Questa atmosfera in cui i cavalli si alzavano,
Questa atmosfera nella quale la sua mente ammuffita
Se ne stava nera e piena di nero malformato? Ali
E luce si posavano per lei più a fondo della sua vista.
IV
La massa di pietra collassò in una carcassa di marmo,
Rigida come se il nero di ciò che pensava
Urtasse contro i colori che si muovevano fuori
E li trasformasse, infine, nella sua tinta trionfante,
Trionfante come quel vento che si alza sempre
E soffia tra gli alberi un suono senza senso.
Lo spazio sopra gli alberi poteva essere ancora chiaro,
Eppure la luce cadeva fasulla sui teschi di marmo,
Sulle criniere di marmo stropicciate nell’aria, la luce
Cadeva fasulla sugli scheletri inimitabili
Un cambiamento così sentito, una paura a lei così nota
E adesso avvertita, conosciuta. Le nuvole di bronzo
Si immersero fino ad appiattirsi e sparire.
Se il cielo che venne dopo, più piccolo della notte,
Ancora si stropicciava di pieghe luminose sulle foglie,
Sbiancando, di nuovo, forme senza forma nel buio,
Era come se la trasparenza toccasse la sua mente.
La statua si alzava nelle stelle come sfere d’acqua
Lavate del loro verde, del loro fluido blu
Uno stato d’animo così fisso
Da diventare un modo della mente, una mente in una notte
Che era tutto ciò che la mente poteva fare di essa,
Una notte che era quella mente così ingrandita
Da perdere la forma consueta della notte e diventare
La forma sovrana in un mondo di forme.
Una donna che cammina tra foglie d’autunno,
Pensando al cielo e alla terra e a se stessa
E osservando il luogo nel quale ha camminato
Come un luogo in cui ogni cosa è immobile
Eccetto la cosa che lei sentiva ma che non conosceva.
V
Senza di lei, la sera come un tasso sbocciato
Sarebbe presto splendido, com’era,
Prima che il destino, strega maligna
Venisse a piangere le sue sillabe di scusa, prima
Che la loro voce e la voce del vento torturato fossero una sola,
Ogni voce nell’altra, come una sola
Piangendo per un bisogno che premeva come il freddo
Mortale e profondo. Sarebbe diventato un tasso
Grande e serio oltre gli alberi immaginati
Cresciuto ramificandosi attraverso cieli pesanti per il suo splendore
E sotto la sua ombra, folti di stelle
Di una luce lunare, stregoni cinti di buio
Abbaglianti per fasci più semplici e soavemente immobile,
lo spazio sotto di lui, un vasto regno,
Intoccato dalla sofferenza che il destino assegna
Al momento. Ecco che là i cavalli si alzerebbero di nuovo,
Ma senza quasi essere visti e di nuovo le gambe
Saetterebbero nell’aria e i corpi muscolosi premerebbero
Gli zoccoli contro la terra ostinata, finché
Le ali leggere si leverebbero attraverso lo spazio di cristallo
Della notte. Come sarebbe descritto con chiarezza!
The old woman and the Statue
I
Another evening in another park,
a group of marble horses rose on wings
In the midst of a circle of trees, from which the leaves
Raced with the horses in bright hurricanes.
II
So much the sculptor had foreseen: autumn,
The sky above the plaza widening
Before the horses, clouds of bronze imposed
On clouds of gold, and green engulfing bronze,
The marble leaping in the storms of light.
So much he had devised: white forelegs taut
To the muscles’ very tip for the vivid plunge,
The heads held high and gathered in a ring
At the center of the mass, the haunches low,
Contorted, staggering from the thrust again
The earth as the bodies rose on feathery wings,
Clumped carvings, circular, like blunted fans,
Arranged for phantasy to form an edge
Of crisping light along the statue’s rim.
More than his muddy hand was in the manes,
More than his mind in the wings. The rotten leaves
Swirled round them in immense autumnal sounds.
III
But her he had not foreseen: the bitter mind
In a flapping cloak. She walked along the paths
Of the park with chalky brow scratched over black
And black by thought that could not understand
Or, if it understood, repressed itself
Without any pity in a somnolent dream.
The golden clouds that turned to bronze, the sounds
Descending, did not touch her eye and left
Her ear unmoved. She was that tortured one,
So destitute that nothing of herself except
A fear too naked for her shadow’s shape.
To search for clearness all an afternoon
And without knowing, and then upon the wind
To hear the stroke of one’s certain solitude,
What sound could comfort away the sudden sense?
What path could lead apart from what she was
And what was to be? Could it happen to be this,
This atmosphere in which the horses rose,
This atmosphere in which her musty mind
Lay black and full of black misshapen? Wings
And lightly lay deeper for her than her sight.
IV
The mass of stone collapsed to marble hulk,
Stood stiffly, as if the black of what she thought,
Conflicting with the moving colors there,
Changed them, at last, to its triumphant hue,
Triumphant as that always upward wind
Blowing among the trees its meaningless sound.
The space above the trees might still be bright
Yet the light fell falsely on the marble skulls,
Manes matted of marble across the air, the light
Fell falsely on the matchless skeletons,
A change so felt, a fear in her so known
Now felt, now known as this. The clouds of bronze
Slowly submerging in flatness disappeared.
If the sky that followed, smaller than the night,
Still eked out luminous wrinklings on the leaves,
Whitened, again, forms formless in the dark,
It was as if transparence touched her mind.
The statue stood in stars like water-spheres,
Washed over by their green, their flowing blue.
A mood that had become so fixed it was
A manner of the mind, a mind in a night
That was whatever the mind might make of it,
A night that was that mind so magnified
It lost the common shape of night and came
To be the sovereign shape in a world of shapes.
A woman walking in the autumn leaves,
Thinking of heaven and earth and of herself
And looking at the place in which she walked,
As a place in which each thing was motionless
Except the thing she felt but did not know.
V
Without her, evening like a budding yew
Would soon be brilliant, as it was, before
The harridan self and ever-maladive fate
Went crying their desolate syllables before
Their voice and the voice of the tortured wind were one
Each voice within the other, seeming one,
Crying against a need that pressed like cold,
Deadly and deep. It would become a yew
Grown great and grave beyond imagined trees,
Branching through heavens heavy with the sheen
And shadowy hanging of it, thick with stars
Of a lunar light, dark – belted sorcerers
Dazzling by simplest beams and soothly still,
The space beneath it still, a smooth domain,
Untroubled by suffering, which fate assigns
To the moment. There the horses would rise again,
Yet hardly to be seen and again the legs
Would flash in air, and the muscular bodies thrust
Hoofs grinding against the stubborn earth, until
The light wings lifted through the crystal space
Of night. How clearly that would be defined!