Poesie di WALLACE STEVENS  da Owl’s Clover (1936), traduzione di Matilde Manara

Poesie di WALLACE STEVENS  da Owl’s Clover (1936), traduzione di Matilde Manara

22 Giugno 2021 Off di Francesco Biagi

La vecchia e la statua

 

I

Un’altra sera in un altro parco,

Un gruppo di cavalli in marmo apriva le ali

In un cerchio di alberi. Le foglie degli alberi

Rincorrevano i cavalli in uragani luminosi.

 

II

Lo scultore aveva previsto tutto: l’autunno,

Il cielo sopra lo spiazzo che si allarga

Davanti ai cavalli, nuvole di bronzo impresse

Su nuvole d’oro, e il verde che inghiotte il bronzo,

Il marmo lanciato nelle tempeste di luce.

Ecco cosa aveva escogitato: le bianche zampe anteriori tese

Fino all’estremità dei muscoli per il salto vivace

Le teste tenute alte e riunite in un cerchio

Al centro del gruppo, le anche basse,

Ritorte, vacillanti per lo spingere contro

La terra, mentre i corpi si alzavano su ali di piume,

Ciuffi di incisioni , circolari, come ventagli smussati

Disposti a fantasia a formare un bordo

Di luce rovente lungo il bordo della statua.

Molto più della sua mano infangata era nelle criniere,

Molto più della sua mente nelle ali. Le foglie marcite

Vorticavano intorno a loro in immensi suoni d’autunno.

 

III

Ma lei non l’aveva prevista: la mente amara

In un cappotto aperto. Camminava lungo i sentieri

Del parco con la fronte di gesso rigata di nero

E nera per il pensiero che non poteva capire

O, se capiva, si reprimeva

Senza pietà in una fantasia sonnolenta.

Le nuvole dorate che diventavano di bronzo, i suoni

Che calavano, non toccavano il suo occhio e lasciavano

Il suo orecchio impassibile. Era lei quella tormentata,

Così indigente che nulla restava di lei tranne

Se stessa e niente di se stessa tranne

Una paura troppo nuda per la forma della sua ombra.

Cercare la chiarezza tutto un pomeriggio

E senza sapere, e poi nel vento

Sentire il colpo della propria solitudine certa,

Quale suono potrebbe distoglierla dalla sensazione improvvisa?

Quale sentiero potrebbe allontanarla da ciò che era

E da ciò che doveva diventare? Poteva essere questo,

Questa atmosfera in cui i cavalli si alzavano,

Questa atmosfera nella quale la sua mente ammuffita

Se ne stava nera e piena di nero malformato? Ali

E luce si posavano per lei più a fondo della sua vista.

 

IV

La massa di pietra collassò in una carcassa di marmo,

Rigida come se il nero di ciò che pensava

Urtasse contro i colori che si muovevano fuori

E li trasformasse, infine, nella sua tinta trionfante,

Trionfante come quel vento che si alza sempre

E soffia tra gli alberi un suono senza senso.

Lo spazio sopra gli alberi poteva essere ancora chiaro,

Eppure la luce cadeva fasulla sui teschi di marmo,

Sulle criniere di marmo stropicciate nell’aria, la luce

Cadeva fasulla sugli scheletri inimitabili

Un cambiamento così sentito, una paura a lei così nota

E adesso avvertita, conosciuta. Le nuvole di bronzo

Si immersero fino ad appiattirsi e sparire.

Se il cielo che venne dopo, più piccolo della notte,

Ancora si stropicciava di pieghe luminose sulle foglie,

Sbiancando, di nuovo, forme senza forma nel buio,

Era come se la trasparenza toccasse la sua mente.

La statua si alzava nelle stelle come sfere d’acqua

Lavate del loro verde, del loro fluido blu

Uno stato d’animo così fisso

Da diventare un modo della mente, una mente in una notte

Che era tutto ciò che la mente poteva fare di essa,

Una notte che era quella mente così ingrandita

Da perdere la forma consueta della notte e diventare

La forma sovrana in un mondo di forme.

Una donna che cammina tra foglie d’autunno,

Pensando al cielo e alla terra e a se stessa

E osservando il luogo nel quale ha camminato

Come un luogo in cui ogni cosa è immobile

Eccetto la cosa che lei sentiva ma che non conosceva.

 

V

Senza di lei, la sera come un tasso sbocciato

Sarebbe presto splendido, com’era,

Prima che il destino, strega maligna

Venisse a piangere le sue sillabe di scusa, prima

Che la loro voce e la voce del vento torturato fossero una sola,

Ogni voce nell’altra, come una sola

Piangendo per un bisogno che premeva come il freddo

Mortale e profondo. Sarebbe diventato un tasso

Grande e serio oltre gli alberi immaginati

Cresciuto ramificandosi attraverso cieli pesanti per il suo splendore

E sotto la sua ombra, folti di stelle

Di una luce lunare, stregoni cinti di buio

Abbaglianti per fasci più semplici e soavemente immobile,

lo spazio sotto di lui, un vasto regno,

Intoccato dalla sofferenza che il destino assegna

Al momento. Ecco che là i cavalli si alzerebbero di nuovo,

Ma senza quasi essere visti e di nuovo le gambe

Saetterebbero nell’aria e i corpi muscolosi premerebbero

Gli zoccoli contro la terra ostinata, finché

Le ali leggere si leverebbero attraverso lo spazio di cristallo

Della notte. Come sarebbe descritto con chiarezza!

 

 

The old woman and the Statue

 

I

Another evening in another park,

a group of marble horses rose on wings

In the midst of a circle of trees, from which the leaves

Raced with the horses in bright hurricanes.

 

II

So much the sculptor had foreseen: autumn,

The sky above the plaza widening

Before the horses, clouds of bronze imposed

On clouds of gold, and green engulfing bronze,

The marble leaping in the storms of light.

So much he had devised: white forelegs taut

To the muscles’ very tip for the vivid plunge,

The heads held high and gathered in a ring

At the center of the mass, the haunches low,

Contorted, staggering from the thrust again

The earth as the bodies rose on feathery wings,

Clumped carvings, circular, like blunted fans,

Arranged for phantasy to form an edge

Of crisping light along the statue’s rim.

More than his muddy hand was in the manes,

More than his mind in the wings. The rotten leaves

Swirled round them in immense autumnal sounds.

 

III

But her he had not foreseen: the bitter mind

In a flapping cloak. She walked along the paths

Of the park with chalky brow scratched over black

And black by thought that could not understand

Or, if it understood, repressed itself

Without any pity in a somnolent dream.

The golden clouds that turned to bronze, the sounds

Descending, did not touch her eye and left

Her ear unmoved. She was that tortured one,

So destitute that nothing of herself except

A fear too naked for her shadow’s shape.

To search for clearness all an afternoon

And without knowing, and then upon the wind

To hear the stroke of one’s certain solitude,

What sound could comfort away the sudden sense?

What path could lead apart from what she was

And what was to be? Could it happen to be this,

This atmosphere in which the horses rose,

This atmosphere in which her musty mind

Lay black and full of black misshapen? Wings

And lightly lay deeper for her than her sight.

 

IV

The mass of stone collapsed to marble hulk,

Stood stiffly, as if the black of what she thought,

Conflicting with the moving colors there,

Changed them, at last, to its triumphant hue,

Triumphant as that always upward wind

Blowing among the trees its meaningless sound.

The space above the trees might still be bright

Yet the light fell falsely on the marble skulls,

Manes matted of marble across the air, the light

Fell falsely on the matchless skeletons,

A change so felt, a fear in her so known

Now felt, now known as this. The clouds of bronze

Slowly submerging in flatness disappeared.

If the sky that followed, smaller than the night,

Still eked out luminous wrinklings on the leaves,

Whitened, again, forms formless in the dark,

It was as if transparence touched her mind.

The statue stood in stars like water-spheres,

Washed over by their green, their flowing blue.

A mood that had become so fixed it was

A manner of the mind, a mind in a night

That was whatever the mind might make of it,

A night that was that mind so magnified

It lost the common shape of night and came

To be the sovereign shape in a world of shapes.

A woman walking in the autumn leaves,

Thinking of heaven and earth and of herself

And looking at the place in which she walked,

As a place in which each thing was motionless

Except the thing she felt but did not know.

 

V

Without her, evening like a budding yew

Would soon be brilliant, as it was, before

The harridan self and ever-maladive fate

Went crying their desolate syllables before

Their voice and the voice of the tortured wind were one

Each voice within the other, seeming one,

Crying against a need that pressed like cold,

Deadly and deep. It would become a yew

Grown great and grave beyond imagined trees,

Branching through heavens heavy with the sheen

And shadowy hanging of it, thick with stars

Of a lunar light, dark – belted sorcerers

Dazzling by simplest beams and soothly still,

The space beneath it still, a smooth domain,

Untroubled by suffering, which fate assigns

To the moment. There the horses would rise again,

Yet hardly to be seen and again the legs

Would flash in air, and the muscular bodies thrust

Hoofs grinding against the stubborn earth, until

The light wings lifted through the crystal space

Of night. How clearly that would be defined!