Poesie di Lanfranco Orsini
Alberi vidi
Su prati verdi morbidi felici
come una luce aperti
alberi vidi in sé conchiusi, soli,
sferici gorghi di musicale ombra.
*
Sonetto primo
La notte che si lacera al guaito
di un cane sull’asfalto (forse i fari
d’un camion lo abbagliarono all’invito
di un sole rovinoso); questi rari
gridi della civetta; il folle attrito
del vento fra le tegole(ne impari
come il tempo si sgretola finito
in quel rantolo d’aria); i funerari
rintocchi della pendola: che cielo
attonito ora fanno! Sulla vita
di un attimo, sul turbine dell’aria,
sul dolore e il rumore, come un gelo
di trasparenze immobili è stupita
l’eternità del cielo, solitaria.
*
Fantasia cubista
Se da quel viso di viola sfocato
– triangoli d’assurdo ci rapivano
in geometrie purissime di geli –
se dall’occhio quadrato e dall’anemone
un giallo vento soffierà (le prore
su mari di catrame approderanno
a inesistenti rive) e vi sarà
il fantoccio metallico a scandire
l’ossessionante pendolo di un’ora
eguale nella stasi, visi attoniti
rideranno ove piangere si deve.
Il secolo crudele qui disserra
l’urlo demente di sue guerre, il bianco
intelletto che si rifà ferino
qui spiega l’orgia tragica, s’estenua
avulso. La certezza del domani
si perde, ognuno è monade. Consuma
fatua di febbre i suoi veleni Europa
dei parti suoi stremata, un disperato
vento divampa l’ultimo falò.
*
La notte bianca
Nel silenzio di tutte le strade
passano i fiumi di luce:
sono i sogni di tutti i perduti
nell’attrito del quotidiano,
che cancellano nella luce
dai selciati eguali battuti
le grige orme di ieri
per non vederle domani,
per ricalcarle aspettando
dopo i grigi eguali pensieri
il silenzio di quella luce.
*
Per lei l’anima chiede
Il suo segno chi lo saprà,
la bellezza! Un ritmo, un tono,
tempo e luce delle cose,
l’interiore lampante oscurità.
Ama ciò che non si vede,
il labirinto attorto del profondo;
ma per lei l’anima chiede
– struggimento a esposti sensi –
le apparenze voluttuose,
con le forme e i colori e gli odori suoi densi
la corporeità del mondo.
*
Era anche amarti
Quella lama di fiume che più asseta
la boscaglia riarsa
ed il topazio delle stoppie; il fieno
verdegrigio appassito, il rauco grido
dell’anatra palustre: io la sapevo
questa terra di sonno, landa amara
dell’anima ove aspetta il cacciatore
dormigliando la starna e il vino nero
scorre lento, grumoso:
le ragazze stremate
da fatiche ancestrali hanno appassiti
i fianchi e fatua febbre arde negli occhi
e sulle gote lucide.
Lo sapevo il silenzio delle cose
opache nella calura
quando il sole è la polvere che strina
le palpebre e le mani; il volo basso
dell’uccello, quel filo
così fermo di fiume
che più asseta le stoppie, il pianto vano
del bambino panciuto presso l’uscio.
(Una lama di sete mi fendeva
lungo un mare azzurrissimo, fatica
era anche amarti all’anima, sapevo
questa mia terra nera).
*
Il tempo falso
«TEMPO VERO» dice la meridiana
sul muro stinto della casa, tra
il nido e il parafulmine; «TEMPO VERO»
scandiscono le lettere ove fu
l’asta e scialbate ormai le ore: il sole
più non misura la declinazione
d’ombra, – un altro il suo tempo che fa veri
forse mondi più giovani, a noi resta
il tempo falso in cui, persi, non siamo.
*
In una conchiglia hai cercato
il rumore del mare che non c’era.
I miei sguardi passavano
attraverso quel diafano
abitacolo fragile che fu vivo.
Qualcosa era al di là che mi chiamava.
Non c’eri più in quell’attimo,
non ti sentivo.
Tra la spiga e la mano ricostruivo
l’alterità reciproca
di quel muro invisibile che un gesto
ridisegnava.
*
Vorrei essere il contrappunto
della tua melodia; darle la dissonanza
delle note che nascono sulla tristezza
delle proprie morti; la nebbia sonora
che cova l’inespresso; lo spessore
degli ottoni e dei legni, quell’impasto
caldamente viola che tocca le radici
dell’ascolto e dell’animo; prendere il leit-motiv
del tuo sangue e venarlo col sensitivo peso
degli anni che non hai, quel nascosto vibrare
degli echi del dolore ma liberato
nel tuo capriccioso clarino;
e all’impetuoso che intoni vorrei dare
per segnarlo di me, perché ti sia
così denso e fecondo,
il caldo flusso vitale che da me esprimi
– diventato Parola.
(I testi sono tratti da Il silenzio e la voce, In pubblico e in privato, e dalla sezione inedita Perla ragione assassina, reperibile in https://www.carteggiletterari.it/archivio-regionale-della-poesia-meridionale-dal-secondo-900-ad-oggi/mappatura-dei-poeti-campani-dal-secondo-900-ad-oggi/lanfranco-orsini/)
*
Lanfranco Orsini (1926-1981), nacque e visse a Napoli. Pubblicò Confessioni agli specchi (racconti), Cappelli 1956; Elegia sul monte Faito (poesie presentate da Giorgio Caproni), Amicucci 1958; L’eclisse (romanzo), Vallecchi 1962; Il silenzio e la voce (poesie), De Luca Editore 1965; Le anestesie (romanzo), Bietti 1970; La cantina di Auerbach (saggi), ESI 1971; L’animale malato (epigrammi), ESI 1974; In pubblico e in privato (poesie), Lacaita 1977; Taccuino dell’anno mille (saggi e meditazioni), Società Editrice Napoletana 1977; Ottocento/Novecento tra poesia e prosa (saggi), Società Editrice Napoletana 1980. Collaborò ai programmi culturali RAI, alle più importanti riviste di letteratura e ad alcuni quotidiani di diffusione nazionale.
Per la sua opera di poeta e scrittore vinse diversi premi, tra i quali il “Settembrini-Mestre” per Le anestesie, precedentemente finalista al Campiello.
Giorgio Caproni osservò che la sua poesia «attraversando l’esperienza del Novecento», seguiva un suo percorso originale, estraneo a quello delle neoavanguardie. Mario Pomilio, prefando Le anestesie, sottolineò «che il romanziere Orsini aveva puntato sulla denuncia del vuoto interno alla società letteraria e, in genere, all’uomo moderno, reso quanto lo scrittore una carcassa, un povero, brullo manichino che si agita e cerca di difendersi, ma all’interno del quale tutto è consumato». Lanfranco Orsini, fuori dal neorealismo imperante, fu un intellettuale di matrice europea, uno scrittore acuto, un poeta che per tematiche ed esperienza del verso rappresentò l’anello di congiunzione tra Montale e l’era post-montaliana.
(L’immagine di copertina è di Juan Gris, The Open Window, 1921)