Poesie di Lanfranco Orsini

Poesie di Lanfranco Orsini

13 Dicembre 2022 Off di Francesco Biagi

 

Alberi vidi

 

Su prati verdi morbidi felici

come una luce aperti

alberi vidi in sé conchiusi, soli,

sferici gorghi di musicale ombra.

 

*

 

Sonetto primo

 

La notte che si lacera al guaito

di un cane sull’asfalto (forse i fari

d’un camion lo abbagliarono all’invito

di un sole rovinoso); questi rari

gridi della civetta; il folle attrito

del vento fra le tegole(ne impari

come il tempo si sgretola finito

in quel rantolo d’aria); i funerari

rintocchi della pendola: che cielo

attonito ora fanno! Sulla vita

di un attimo, sul turbine dell’aria,

sul dolore e il rumore, come un gelo

di trasparenze immobili è stupita

l’eternità del cielo, solitaria.

 

*

 

Fantasia cubista

 

Se da quel viso di viola sfocato

– triangoli d’assurdo ci rapivano

in geometrie purissime di geli –

se dall’occhio quadrato e dall’anemone

un giallo vento soffierà (le prore

su mari di catrame approderanno

a inesistenti rive) e vi sarà

il fantoccio metallico a scandire

l’ossessionante pendolo di un’ora

eguale nella stasi, visi attoniti

rideranno ove piangere si deve.

Il secolo crudele qui disserra

l’urlo demente di sue guerre, il bianco

intelletto che si rifà ferino

qui spiega l’orgia tragica, s’estenua

avulso. La certezza del domani

si perde, ognuno è monade. Consuma

fatua di febbre i suoi veleni Europa

dei parti suoi stremata, un disperato

vento divampa l’ultimo falò.

 

*

 

La notte bianca

 

Nel silenzio di tutte le strade

passano i fiumi di luce:

sono i sogni di tutti i perduti

nell’attrito del quotidiano,

che cancellano nella luce

dai selciati eguali battuti

le grige orme di ieri

per non vederle domani,

per ricalcarle aspettando

dopo i grigi eguali pensieri

il silenzio di quella luce.

 

*

 

Per lei l’anima chiede

 

Il suo segno chi lo saprà,

la bellezza! Un ritmo, un tono,

tempo e luce delle cose,

l’interiore lampante oscurità.

Ama ciò che non si vede,

il labirinto attorto del profondo;

ma per lei l’anima chiede

– struggimento a esposti sensi –

le apparenze voluttuose,

con le forme e i colori e gli odori suoi densi

la corporeità del mondo.

 

*

 

Era anche amarti

 

Quella lama di fiume che più asseta

la boscaglia riarsa

ed il topazio delle stoppie; il fieno

verdegrigio appassito, il rauco grido

dell’anatra palustre: io la sapevo

questa terra di sonno, landa amara

dell’anima ove aspetta il cacciatore

dormigliando la starna e il vino nero

scorre lento, grumoso:

le ragazze stremate

da fatiche ancestrali hanno appassiti

i fianchi e fatua febbre arde negli occhi

e sulle gote lucide.

Lo sapevo il silenzio delle cose

opache nella calura

quando il sole è la polvere che strina

le palpebre e le mani; il volo basso

dell’uccello, quel filo

così fermo di fiume

che più asseta le stoppie, il pianto vano

del bambino panciuto presso l’uscio.

 

(Una lama di sete mi fendeva

lungo un mare azzurrissimo, fatica

era anche amarti all’anima, sapevo

questa mia terra nera).

 

 

                        *

 

Il tempo falso

 

«TEMPO VERO» dice la meridiana

sul muro stinto della casa, tra

il nido e il parafulmine; «TEMPO VERO»

scandiscono le lettere ove fu

l’asta e scialbate ormai le ore: il sole

più non misura la declinazione

d’ombra, – un altro il suo tempo che fa veri

forse mondi più giovani, a noi resta

il tempo falso in cui, persi, non siamo.

 

*

In una conchiglia hai cercato
il rumore del mare che non c’era.
I miei sguardi passavano
attraverso quel diafano
abitacolo fragile che fu vivo.
Qualcosa era al di là che mi chiamava.
Non c’eri più in quell’attimo,
non ti sentivo.
Tra la spiga e la mano ricostruivo
l’alterità reciproca
di quel muro invisibile che un gesto
ridisegnava.

*

Vorrei essere il contrappunto
della tua melodia; darle la dissonanza
delle note che nascono sulla tristezza
delle proprie morti; la nebbia sonora
che cova l’inespresso; lo spessore
degli ottoni e dei legni, quell’impasto
caldamente viola che tocca le radici
dell’ascolto e dell’animo; prendere il leit-motiv
del tuo sangue e venarlo col sensitivo peso
degli anni che non hai, quel nascosto vibrare
degli echi del dolore ma liberato
nel tuo capriccioso clarino;
e all’impetuoso che intoni vorrei dare
per segnarlo di me, perché ti sia
così denso e fecondo,
il caldo flusso vitale che da me esprimi
– diventato Parola.

(I testi sono tratti da Il silenzio e la voce, In pubblico e in privato, e dalla sezione inedita Perla ragione assassina, reperibile in https://www.carteggiletterari.it/archivio-regionale-della-poesia-meridionale-dal-secondo-900-ad-oggi/mappatura-dei-poeti-campani-dal-secondo-900-ad-oggi/lanfranco-orsini/)

                                                           *

Lanfranco Orsini (1926-1981), nacque e visse a Napoli. Pubblicò Confessioni agli specchi (racconti), Cappelli 1956; Elegia sul monte Faito (poesie presentate da Giorgio Caproni), Amicucci 1958; L’eclisse (romanzo), Vallecchi 1962; Il silenzio e la voce (poesie), De Luca Editore 1965; Le anestesie (romanzo), Bietti 1970; La cantina di Auerbach (saggi), ESI 1971; L’animale malato (epigrammi), ESI 1974; In pubblico e in privato (poesie), Lacaita 1977; Taccuino dell’anno mille (saggi e meditazioni), Società Editrice Napoletana 1977; Ottocento/Novecento tra poesia e prosa (saggi), Società Editrice Napoletana 1980. Collaborò ai programmi culturali RAI, alle più importanti riviste di letteratura e ad alcuni quotidiani di diffusione nazionale.
Per la sua opera di poeta e scrittore vinse diversi premi, tra i quali il “Settembrini-Mestre” per Le anestesie, precedentemente finalista al Campiello.
Giorgio Caproni osservò che la sua poesia «attraversando l’esperienza del Novecento», seguiva un suo percorso originale, estraneo a quello delle neoavanguardie. Mario Pomilio, prefando Le anestesie, sottolineò «che il romanziere Orsini aveva puntato sulla denuncia del vuoto interno alla società letteraria e, in genere, all’uomo moderno, reso quanto lo scrittore una carcassa, un povero, brullo manichino che si agita e cerca di difendersi, ma all’interno del quale tutto è consumato». Lanfranco Orsini, fuori dal neorealismo imperante, fu un intellettuale di matrice europea, uno scrittore acuto, un poeta che per tematiche ed esperienza del verso rappresentò l’anello di congiunzione tra Montale e l’era post-montaliana.

 (L’immagine di copertina è di Juan Gris, The Open Window, 1921)