Caccia alla stracca (prima parte) – di Marina Pizzi (2023)

Caccia alla stracca (prima parte) – di Marina Pizzi (2023)

4 Ottobre 2023 Off di Francesco Biagi

 

1.

È rimasta la vita storpia

il granulo velenoso

il nudo aroma del senza aureola.

La bestemmia non scuote nulla

né magnifici i genitori

angelicati e artisti.

2.

Ultimi versi quasi un’esecuzione

m’internano in attesa nel braccio

della morte.

3.

La Poesia è la prima delle arti ecco perché è così falcidiata.

4.

Nel viottolo accanto

l’angelo parlava con la lavagna

nella spazzatura. Nell’eleganza

della tunica spiccava uno spicchio

di cielo curvato verso gli occhi

smeraldini di stagno. Non aveva

il fuso orario dei viaggi intercontinentali,

pareva arrivato da lì. Il braccialetto

a forma di cornucopia copiava l’arcobaleno.

Leggero petalo danzante giocava con tutto

il vicolo.

Le zone in ombra dell’ultima sconfitta

trafissero il tempo dei giocatori senza

nessuna classifica ordinaria. Così se ne

andò l’umana storia verso l’angelo a mo’

di campione.

5.

Infelice pasqua di ciechi

i viottoli accanto al mio petto,

con il calesse dell’assassino

va allo scoglio l’eredità

del pane di ruggine.

I pesci all’amo nel secchio

scemano lentamente verso la china.

Patriottico il covo d’ultimo caso

fa la rissa con l’ultimo binario

di assistere convulsi.

La disperanza del tavolo votivo

inclina le vedovanze del fittizio.

Mi dà dispiacere chi sono

sotto l’egemone spada della faida.

6.

Morire dovrebbe essere un gesto incruento, un diritto, un fare

inalienabile, una scelta personale senza il permesso di nessuno.

 

7.

La levatrice mi guardò con sguardo

torvo vicino alla volontà di fulminarmi.

Non bastò la melma della nascita

né le scisse aureole di perdere

le concubine di mio padre senza

mia madre. Il tesoro della nascita

mi rese zoppa vanagloria del sasso

a mo’ di cuscino. La scimmia rideva

a capo del letto sotto la resina

del non sonno. Fu calore di vendetta

il di poi quando la frottola colma

partì dal binario degli occhi sanguigni.

Tutto si ruppe senza indagare nulla.

8.

Uccidimi con un bacio letale

senza gemiti amami.

Con l’arco della schiena dimmi

quali salvataggi mi farai

con l’enfasi di baci tardi.

Dimettimi da me, uccidimi

con la delizia d’angelo

d’estasi.

9.

Scempio del sicario il tempo

il polipo enorme che perseguita

l’inguine blasfemo di nascere.

Al crudo della rotta andarsene

non servili al calendario

letale solo il foro alla tempia.

Vanagloria la giara del soqquadro

con l’olio buono vanesio falsario

dove l’ombra dà brama di tenebra.

Bel maschio la fionda con la mira

finalmente infallibile la bile letargica

dai seni cadenti calamità lo sparo.

Da supplice mira rapire le mura

per l’epilogo ingordo di sparire

sotto il marmo del lenzuolo.

L’oro bancario è il piscio funebre.

10.

Trovando rubando ritrovando

le parole giovani così lise

perdendo lento lo sguardo.

Morendo al sangue guasto

origlio i sorrisi degli angeli

così palese la resa di andar vagando

oltre la cosmesi d’artista.

Senza tetto la statua mortale

elemosina nature di vicinanze

letale la morsa che non fa soffrire.

Finito il tempo di occaso e scopo

il nido d’orto quando fanciulli

smascheravo il dolo della disfatta.

Perso l’ingegno nella paura

d’incubo, morii d’oltre rapida.

11.

Ora che è certa la morte

amor mio ti amo con l’oltre

di un clown.

Ancora ti guardo con la calunnia

di perderti davvero per sempre.

L’età ridacchia l’età verso la tua

così breve contro la mia

oceanica verso la tua cascata.

Plurali i libri che non servono

verso le rotte rapaci del senso

senza costrutto gli abbracci cenere.

Piango bambina non poterti sfiorare

lontanando da noi chi non mai fummo.

12.

I poveri indossano i vestiti

dei morti. Solo i coraggiosi

invecchiano. I suicidi non dolorosi

sono la meraviglia d’andarsene.

Crudele il lucchetto dell’aguzzino

che può impedire la fine volontaria.

13.

Anima chiara mia sciarpa

pattume del buio l’io

lirica in catarsi il sì.

14.

Il sogno almanacca visuali

le strade scempie dove uccidono

le alunne nere del collegio.

Madre di assenzio canticchiare

chissà la chiave di un po’ di amore

o il fattaccio della gelosia.

Morì la zia che credetti fata

con i gelati regalati per compagnia

o bello dì essere bambina.

Nella malia che induce esser vivi

i binarî della stazione non possono

innamorarsi.

In cattività la povera scimmietta

sembra la mia fotografia.

Se verrai da me ti salverò dal tedio

per una rarità d’amore inconosciuta.

15.

Per te che mi consumi senza colpa

sono l’acrobata senza l’incontro

il torto e il tonfo di fine fato.

Sei bello oltre il lutto e la chimera

stella mendace scappata aldilà del tempo

dove io ero allora e tu non c’eri.

Invano nel tracollo di volerti

scema il mio caso schivo involontario

tarlato dalla nascita maligna.

Ho avuto solo il talento di guardarti

palcoscenico cruento la stoltizia

per la scalinata a ruzzoloni lo strozzino.

Amato stato con crudeltà e bivacco

finestre appello di spiarti sempre

dita spezzate temere senza futuro.

16.

Ma tu mio perpetuo strazio

sei l’appello del parvente nero

questo disprezzo di avanzo.

17.

Se solo mi stringessi le cosce

con la cerimonia improvvisa dello sposo

ti bacerei il pomo della gola

con la forma in mente finalmente

di esserci l’insieme.

18.

Calunnia ormai del tempo

fa lutto di sé chi sono

tu con un altro nome ordito

lessico occluso di chi rimanga

solo. Assoluto irraggiungibile

il tuo profilo tutto diverso

dal fato restante contaminato

d’altro. Oggi è morto il mio caso

ventoso, inutili le cose anche

se sosia.

19.

Malinconica brevità qualunque resto

sodale soldatino senza pistola

in un pallido oratorio nascosto.

Sottile sottile il diluvio d’età

fa crepe sotto l’eremo d’arma

maretta senza apice di mare.

Cortesia d’ultimo banco

lasci crepare l’aureola compagna

quella bambina con le trecce rasate.

Smagrito appello finalmente perdere

grette le atrocità d’anni

ben oltre carnevale la maschera funebre.

20.

Nessuno dà retta al mio deragliare

nessuna ipotesi di farmi amare

dal tugurio del tempo puerile e vecchio.

Randagio bivacco l’acredine del volto

questo disguido nazista della foce

cerbottana la rotta di non averne.

Futuro e speranza sono impiccagioni

gregaria la nebbia sempre più fitta

sotto le gare di atleti sfiniti.

Amare con digiuno è il trillo di chi

muore.

 

(Immagine di copertina: P. Klee, Sotto custodia d’angelo, 1931)