Caccia alla stracca (prima parte) – di Marina Pizzi (2023)
1.
È rimasta la vita storpia
il granulo velenoso
il nudo aroma del senza aureola.
La bestemmia non scuote nulla
né magnifici i genitori
angelicati e artisti.
2.
Ultimi versi quasi un’esecuzione
m’internano in attesa nel braccio
della morte.
3.
La Poesia è la prima delle arti ecco perché è così falcidiata.
4.
Nel viottolo accanto
l’angelo parlava con la lavagna
nella spazzatura. Nell’eleganza
della tunica spiccava uno spicchio
di cielo curvato verso gli occhi
smeraldini di stagno. Non aveva
il fuso orario dei viaggi intercontinentali,
pareva arrivato da lì. Il braccialetto
a forma di cornucopia copiava l’arcobaleno.
Leggero petalo danzante giocava con tutto
il vicolo.
Le zone in ombra dell’ultima sconfitta
trafissero il tempo dei giocatori senza
nessuna classifica ordinaria. Così se ne
andò l’umana storia verso l’angelo a mo’
di campione.
5.
Infelice pasqua di ciechi
i viottoli accanto al mio petto,
con il calesse dell’assassino
va allo scoglio l’eredità
del pane di ruggine.
I pesci all’amo nel secchio
scemano lentamente verso la china.
Patriottico il covo d’ultimo caso
fa la rissa con l’ultimo binario
di assistere convulsi.
La disperanza del tavolo votivo
inclina le vedovanze del fittizio.
Mi dà dispiacere chi sono
sotto l’egemone spada della faida.
6.
Morire dovrebbe essere un gesto incruento, un diritto, un fare
inalienabile, una scelta personale senza il permesso di nessuno.
7.
La levatrice mi guardò con sguardo
torvo vicino alla volontà di fulminarmi.
Non bastò la melma della nascita
né le scisse aureole di perdere
le concubine di mio padre senza
mia madre. Il tesoro della nascita
mi rese zoppa vanagloria del sasso
a mo’ di cuscino. La scimmia rideva
a capo del letto sotto la resina
del non sonno. Fu calore di vendetta
il di poi quando la frottola colma
partì dal binario degli occhi sanguigni.
Tutto si ruppe senza indagare nulla.
8.
Uccidimi con un bacio letale
senza gemiti amami.
Con l’arco della schiena dimmi
quali salvataggi mi farai
con l’enfasi di baci tardi.
Dimettimi da me, uccidimi
con la delizia d’angelo
d’estasi.
9.
Scempio del sicario il tempo
il polipo enorme che perseguita
l’inguine blasfemo di nascere.
Al crudo della rotta andarsene
non servili al calendario
letale solo il foro alla tempia.
Vanagloria la giara del soqquadro
con l’olio buono vanesio falsario
dove l’ombra dà brama di tenebra.
Bel maschio la fionda con la mira
finalmente infallibile la bile letargica
dai seni cadenti calamità lo sparo.
Da supplice mira rapire le mura
per l’epilogo ingordo di sparire
sotto il marmo del lenzuolo.
L’oro bancario è il piscio funebre.
10.
Trovando rubando ritrovando
le parole giovani così lise
perdendo lento lo sguardo.
Morendo al sangue guasto
origlio i sorrisi degli angeli
così palese la resa di andar vagando
oltre la cosmesi d’artista.
Senza tetto la statua mortale
elemosina nature di vicinanze
letale la morsa che non fa soffrire.
Finito il tempo di occaso e scopo
il nido d’orto quando fanciulli
smascheravo il dolo della disfatta.
Perso l’ingegno nella paura
d’incubo, morii d’oltre rapida.
11.
Ora che è certa la morte
amor mio ti amo con l’oltre
di un clown.
Ancora ti guardo con la calunnia
di perderti davvero per sempre.
L’età ridacchia l’età verso la tua
così breve contro la mia
oceanica verso la tua cascata.
Plurali i libri che non servono
verso le rotte rapaci del senso
senza costrutto gli abbracci cenere.
Piango bambina non poterti sfiorare
lontanando da noi chi non mai fummo.
12.
I poveri indossano i vestiti
dei morti. Solo i coraggiosi
invecchiano. I suicidi non dolorosi
sono la meraviglia d’andarsene.
Crudele il lucchetto dell’aguzzino
che può impedire la fine volontaria.
13.
Anima chiara mia sciarpa
pattume del buio l’io
lirica in catarsi il sì.
14.
Il sogno almanacca visuali
le strade scempie dove uccidono
le alunne nere del collegio.
Madre di assenzio canticchiare
chissà la chiave di un po’ di amore
o il fattaccio della gelosia.
Morì la zia che credetti fata
con i gelati regalati per compagnia
o bello dì essere bambina.
Nella malia che induce esser vivi
i binarî della stazione non possono
innamorarsi.
In cattività la povera scimmietta
sembra la mia fotografia.
Se verrai da me ti salverò dal tedio
per una rarità d’amore inconosciuta.
15.
Per te che mi consumi senza colpa
sono l’acrobata senza l’incontro
il torto e il tonfo di fine fato.
Sei bello oltre il lutto e la chimera
stella mendace scappata aldilà del tempo
dove io ero allora e tu non c’eri.
Invano nel tracollo di volerti
scema il mio caso schivo involontario
tarlato dalla nascita maligna.
Ho avuto solo il talento di guardarti
palcoscenico cruento la stoltizia
per la scalinata a ruzzoloni lo strozzino.
Amato stato con crudeltà e bivacco
finestre appello di spiarti sempre
dita spezzate temere senza futuro.
16.
Ma tu mio perpetuo strazio
sei l’appello del parvente nero
questo disprezzo di avanzo.
17.
Se solo mi stringessi le cosce
con la cerimonia improvvisa dello sposo
ti bacerei il pomo della gola
con la forma in mente finalmente
di esserci l’insieme.
18.
Calunnia ormai del tempo
fa lutto di sé chi sono
tu con un altro nome ordito
lessico occluso di chi rimanga
solo. Assoluto irraggiungibile
il tuo profilo tutto diverso
dal fato restante contaminato
d’altro. Oggi è morto il mio caso
ventoso, inutili le cose anche
se sosia.
19.
Malinconica brevità qualunque resto
sodale soldatino senza pistola
in un pallido oratorio nascosto.
Sottile sottile il diluvio d’età
fa crepe sotto l’eremo d’arma
maretta senza apice di mare.
Cortesia d’ultimo banco
lasci crepare l’aureola compagna
quella bambina con le trecce rasate.
Smagrito appello finalmente perdere
grette le atrocità d’anni
ben oltre carnevale la maschera funebre.
20.
Nessuno dà retta al mio deragliare
nessuna ipotesi di farmi amare
dal tugurio del tempo puerile e vecchio.
Randagio bivacco l’acredine del volto
questo disguido nazista della foce
cerbottana la rotta di non averne.
Futuro e speranza sono impiccagioni
gregaria la nebbia sempre più fitta
sotto le gare di atleti sfiniti.
Amare con digiuno è il trillo di chi
muore.
(Immagine di copertina: P. Klee, Sotto custodia d’angelo, 1931)