Marina Pizzi – Caccia alla stracca – (seconda parte)
Marina Pizzi – Caccia alla stracca – (seconda parte)[1]
21.
Sono andata nel solco di non averti
velluto appena sfornato io stoffa di buchi
caduchi i lembi dell’ultimo vestito.
Sito di zolfo il diavolo a quattro
dover converso il gelo dello stipite
quando annuario parta per andarsene.
Ancora sulla seggiola del nonno
c’è la nomea del minimo passetto
sotto la cenere di chi disdica il cielo.
Mi dicono che il passero sia dentro il taschino
rimosso il teschio dell’ultima morte
dove si abbevera il ratto del vulcano.
Nomea acidula il dubbio di recidere
sotto la luna il fulcro di morire
crudo analfabeta di non credere.
Pioggia agostana stanare le vipere
le donne puttane bellissime filantrope
dove annegano gli uomini i trofei.
Marina la tua nebbia gracile di feti.
22.
Il tuo tempo è un diadema senza vertigini
tonfo di zelo guardarti arrivare
principe d’avvenire verso la burrasca.
Invento storie tu protagonista
stato di vento perderti per sempre
sotto le nomee di fate avvelenate.
Velleità di oggi questi scempi
senza genesi né sì il robivecchi ormai
silente senza gemito il bacio di nessuno.
23.
Piango perché piango sicario la nascita
presa all’amo pescetto di briciole
lesa maestà già allora la voglia di discesa.
Intruglio di angeli malfermi
dovetti il limbo del bimbo
i diavoletti comici giocattoli.
Taccuino non poterti appuntare
oggi rimpiango la crociera di sassi
i passi di non poterti abbracciare.
Sei il mio amore che non sa di esserlo
né porto di rinfresco la mia sparenza
posseduta da sé senza più capienza.
24.
Torsolo solo sto sfinendo
lesto lestofante senza.
25.
Mani di vecchia
cespuglio addolorato
puntiglio analfabeta
ormai anche guardare.
Con l’ultimo orario in tasca
scavalco col volo il coma
la tresca scaltra di un amore, ancora.
Salvazione ruzzolare le scale
letargo d’oltre sonno
non più lo sguardo mai più.
Corpo di brezza
sanare gli occhi
con le braccia al collo tuo.
Paroline per ciuchini rivederti
qui sul foglio androne senza segno.
26.
Tempo che fuggi in garze d’ospedale
spalle d’atleta ormai di stracchino
l’inchino del becchino fa ridere i passeri.
Nell’ozio musicale di piangere
rosse le bacche del sangue in coagulo
guerriglie di talpe le tane con le bare.
Acredine di soffio l’identità sparuta
magma di sale letizia sfiorente
l’orfanità del faro al buio.
Estate maligna le lingue delle vipere
stazionano fisse agli angoli dei libri
senza stagioni da narrare mai più.
27.
Aureole di scarti ormai i ricordi
strambe fole le genie di ieri
quando le nenie accudivano il sonno
e le vendette non erano incluse.
Scalza col tamburino
l’ilarità del demone.
Il trillo del campanello
non annuncia nessuno.
Anfiteatro reo la spia del cielo.
28.
Manciata acrobatica giovinezza
inciampata in uno scarto di dio.
29.
Cortocircuito l’occiduo di nascita
la metamorfosi folle d’età
qualora avessi, avessi avuto
vuoto il polso di battito.
Focale l’estasi di piangere sempre
se finalmente la calce della lapide
narrazione fosse con l’eremo del grido.
Parvente l’apice d’innamoramento
quando t’incontro giro maniaco
senza abbracciarti mai.
La luna e il sole sono le fosse
degl’imbecilli, le ciotole bucate
contro i randagi.
30.
Ho un verdetto canuto ormai che aspetta
l’inguine e la nuca gemellari e torridi
l’ultima spiaggia guarnita d’astio.
Sicario d’angolo sguarnire la tempia
verso il colpo di stanare lo stiletto
carico d’ira pupilla pigra lo sguardo.
In lutto ormai da una vita senza
c’è il tuo bacio che non ebbi mai
ma che tracanna a volontà di nulla.
31.
Nel mazzo di chiavi ci sono chiavi
che non ricordo. Così bivacco in resine
di ruggine con le manette innocenti.
Testimonianza di sgabuzzino resistere
sterminata lanugine infantile
dove gli assassini nidiali prolificano
calze bucate per il manicomio.
Mago di casinò con le tasche gonfie
gola profonda non essere dio
calunnia di sé l’intera terra.
Gaglioffo con la luna storta il vero
enigma bandito tutte le biblioteche
con le cresime di cattedrali maligne.
32.
Silenzio d’età trascinare il vólto
salva nullità la darsena cieca
dove il bagnetto di bimbi
esclude le madri.
Amori impossibili il sipario invadente
il trucco ennesimo del migliore evento
ove nessuno ti ama davvero.
Ragazza fui forestiera aliena
logica carsica la vendetta d’anni
simbolo in gola sperperarsi.
Chiatta di equorei bivacchi
il sangue sparso nel sale di arsure
quando l’invano è l’unico proiettile.
33.
Lettere strappate chiunque tu sia
dentro le rendite false di capire
collegiali le ronde degli amori.
Piange il sipario della luna piena
quando la dichiarazione d’amore
fruttava tesi geniali
apocrife comunque a breve andare.
Salva di me la crisi della morente
vana sorpresa del volo radente
eclisse senza breccola di nido.
34.
Persi chiunque in una fossa comune
simulacro d’oggi il vestibolo
miserrimo analfabeta del nulla.
Mani in servizio per il capestro dì
oggi soqquadro la spada dismessa
sotto il profilo della nenia vacua.
Meringa senza chef il mio sorbetto
avvelenato, lena d’odio lo scarto
dove dimora l’ebete che sono.
35.
Sono così infelice
bramo l’estrema unzione
la voglia dello sparo alla tempia
dove il peso del corpo si laceri
in cadavere. Amanti brucianti
a titolo di lapide ciotole di ceri
per non morire mai, liberata.
La letargia d’ultimo tempo
è la vittoria del non amore
verso la mia sorte sgamata
da potenti assassini. Nessun
verdetto legale slega di me la strage
la genesi di essere tradita.
False prove per vincenti stercorari
ladruncoli di successi bachi di coma
dove si annebbia il binocolo truccato.
36.
Spasimi d’acrobata
la bara che attende
nessun baratto almeno
mestizia del sussurro esalare
stizza ecumenica la nascita.
Nulla di me nemmeno le ceneri
sillabario notturno l’insonnia
torrido erbario l’erba di veleno.
Basto il tiranno che mi prese
cimelio per le falene da bruciare
con le lucciole miti vili nel buio.
Tutta scucita l’imbastitura della torre
nessun lato alto per volo
loquace finalmente nel gran grido.
37.
Osanni la morte la mia sconfitta
la trappola che stringe le caviglie
anatemi vigili qui disfarsi.
Dimora senza tende elemosine guardone
dove si occlude il nesso di guarigione
l’impero del vulcano intorno al collo.
Imprimimi la dote del sorpasso
la nenia scura della polvere finale
volere un attimo di stasi
dove l’acquitrino scanzona le scarpe.
Vetrina analfabeta non desiderare
che balestre per spaccarmi il petto
valori di mannaia il vespro.
Manciata di scarti il mio ospizio
queste cicale pazze senza scrupoli
né propizie le forche che preparo.
38.
Sono nel sacco della nebbia nera
canzone senza canto cappio appeso
dove è buia l’anagrafe festiva.
39.
Nella gestapo della mia stanza
non ho la rivoltella della partigiana
né la distanza del volo letargico.
Tutto si scaglia armadio in fiamme
metamorfosi di scalee senza fidanzate
afosi gl’intrecci di nodi letali.
Varchi di silenzi non dimenticarmi
di mille chiese secoli di sensi
malconci militi ben più che ignoti.
Saline le lapidi isolane
dove le storie non danno lanugini
di greti infantili né liberati enigmi.
Scogli e marine innamorati sempre
giurano tuffi di atleti e teatri
con attori innamoranti le platee.
Cadono i capelli ai malati e ai vecchi
chinando il cielo in vicoli di liti
corse immacolate le vergini che volano.
40.
Macilento il cielo che non credo
satanasso verdetto d’ecumene
coriandolo di dio dentro l’occhio.
Più di così si mura il binario
morto. Universale il trillo di non
farcela. Calamita la tromba delle scale.
Stridono vendetta i doni natalizi.
41.
Con l’apocalisse di un dì dopo l’altro
riassumo il cipresso che mi trascina la caviglia
il gesto ottuso del calibro senza pistola.
Manciate di acini derubare il senso
la colla invincibile di mangiare la terra
o il torto di non averti avuto mai.
Citrullo lo scrigno con niente dentro
l’indirizzo sbagliato verso chiunque
cheti lo spasimo di non ritorno.
In serbo alla botte di ruzzolare
riconosco la sveglia dell’ultimo stadio
la vogata del crollo di Venezia.
Lo sguardo è a te e non ti parlo
giacché la genesi è mortale da tempo
storpie le tempie in preda alle fandonie.
42.
La febbre che racimola il disprezzo
ricorda il dirupo che non volle
immolare chi fui con molte doglie.
43.
Scivolano le voci nello scantinato
i bambini sdentati dall’età
barcollano su i bigodini della mamma.
44.
Cammeo il tuo ricordo quando ti visito
a me vicino nonostante immenso
il sorso della zattera salata.
Vendicativo il tempo della vendemmia
questo fallo panico di nascita
scissa salpata per la fossa.
Valanga salsa essere vecchi
chimoni senza impero ma pozzanghere
le liti temporali senza marsupio.
45.
Lo sguardo asimmetrico della giovinezza
racimola le foto che rimangono
sgualcite sotto i sassi del giardino.
Goliardia di noi quando con un bacio
la musica cinge sé in un diluvio
avvezzo chissà nel misterico caso.
Ora diluvia solo raucedine
sedie vuote dove non rimane
che polvere di tedio la sconfitta.
Il pomo di Adamo deglutisce mostri
gli stemmi del verdetto senza appello
né laude la genesi che fu.
46.
Mi origliò l’eclisse per non
invecchiare più. Nessun trauma più
contro la nuca sfracellata dal tempo.
La statua d’angioletto al cimitero
temette la distruggessi con lo sguardo
o con lo sputo della malavita.
Invece la sirena del complotto
salvò il mio corpaccio per un po’
senza spaccarmi il cuore o lo stallo.
Così senza storia stetti al mondo
gemellare vedova e scrutinio
il crudo orto di non assaporare niente.
Dipoi mi feci univoca assassina
della branda d’insetti che mi resse
bastevole alle nenie delle lapidi.
47.
Occhi belli più della dispensa piena
forse pervinca chissà qualora fosse
possibile amarti con 40 anni di freno.
Estenuato lasso il sasso al collo
suggerente talamo d’inedia
nell’ossea rimanenza del soqquadro.
Veritiero il sibilo del vento
fece ammazzare le tane dei cuccioli
con verdetti massimi di sangue.
Fossi morta nel traguardo del vicolo
colmo analfabeta il dolo che mi visse
segugio grullo l’olfatto che non ebbi.
48.
All’insaputa sotto la vestaglia
a viso scoperto si staglia il mondo,
addolcisci mia lena lo scarabocchio
qui esteso, l’eterna fossa che combacia
la morte, amo la rosa antica che seduce
il sangue, la venere sapida così venerea
sudicio il cielo senza nessuno.
Sussurra il ciuccio la voce del bambino
restia la cometa che non sale lo scendiletto
solitario. Amami mestizia la fuga che gareggia
ciottoli amorosi venirti a stipare
dentro le braccia che più non reggono.
49.
Nessuno da distinguere più,
è già sussurro la guerra
di nascere.
Cerbottana il lutto di vivere
caligine mortale lato oscuro
fiamma di distretto di polizia.
Avvenne l’estro d’innamorare
le rare bazzecole delle collane
con pietruzze allo zucchero filato.
Sparì la cerchia delle nonne immortali
il bel soldato con le armi ottime
caviglie di giullari i rari amori.
Più sopra le zone multiple del cosmo
morì la frottola del folle vitalizio
quando qualcuno ti abbraccia con il panico.
Tanto soqquadro per nullità imperiali
giacché anche i fratelli sono inutili
diademi di giocattoli in tempesta.
50.
È crudo il dolore, ora lo so per certo
solo mio. Spina di pesce stillare sangue
dentro la mollica della carne.
Spora sinistra ormai restare
fasullo fastidio di una vita
atavica sullo sfondo del passato.
Vocabolario nullo la biblioteca
smembrata in mille e mille tomi
miti di ieri il credo dello spepero.
Così si arresta la graziosa sfinge
d’eterno amore o sillaba d’artificio
perpetuo il sacrificio di aspettare.
Nel muso nudo d’ultimo sonno
si serra la rampa del saliscendi
però coi palmi insanguinati.
Vuota l’attesa colma del boia.
51.
Amami occaso solitario e solo
plumbeo anatema contro il mondo
in trono, nomea d’eremo gara di morte.
Bestia d’ateneo non imparare nulla
né la stima del baratro né la rara
festa. Stammi accanto per sottrarmi.
Millesima sostanza senza valore
dammi un millennio per non esistere
allo sterminio in agguato reo.
52.
Perché muoio con la genesi del fato
senza riassunto né gramo risveglio
origlio soltanto lo stento.
53.
Legna da ardere l’ultimo consenso
miniature d’ombre nelle mani
quando accade il vicino gelo.
Sospiro vano il calice del tempo
ubriaco spartito di rumori
con quattro ruote la bicicletta
infantile. Lo stemma di famiglia
ridacchia di sé. Sgangherata l’altalena
nel giardino tumefatto dal sole.
La tartaruga rovesciata muore lentamente.
54.
Le lanterne che socchiudono le sfingi
parlottano le nenie mortali
quasi le lotte di morti irredenti.
55.
L’inganno non perde, ma distrugge
la grazia d’infanzia. Sentiero nullo
le regole, le fatiche che sperperano
comunque rarità o bazzecole del tempo.
Nella distanza che prolifica le tombe
conobbi un bivio violento
una bisaccia tragica al collo.
Loro le rondini avventurano la gioia
la calamita degli stridi
miti le tasche di perdita.
Condanne le chiese senza miracoli.
56.
Muta disperanza tracolla il viso
nel cupo sentiero senza più natura
l’origine di subire giri di malta.
Spade di cipressi accantonarsi
nei pesi di nicchie
l’arresa filigrana del senza gioia.
Venale la lotta il colpo di grazia
inarrivabile, ancora. Meraviglioso
Gigi Riva!
57.
Ho un dirupo che porta la valigia
una staccionata velleitaria senza senso
dove si avvisa la morte.
Corollario non gentile il cortile
del portone tradotto nell’inferno
di starsene nel seno più vizzo.
Non posso andare più a zonzo
tutta bruta l’odissea degli avanzi
a pezzi l’altalena che fu tale.
Avaria si addebita la ruga
fretta di fuga il disordine del dire
sàlvati chissà come potresti.
58.
Il volto ormai tradito,
il tuo odore è ancora nel ventaglio
del moribondo spartito.
Perdente il respiro che ti uccise
tu urlante la notte non voglio
morire. Mai domandare a chi sta molto male
come stai? Tugurio la frottola di nascita
verbale la rotta del silenzio
mentale. Labbra riarse il secolo
crudele. Più non volle starsene
senza letargo il laccio della scarpa
vanesia allora quando la serpe
si allontanava dalla strada vana.
Losca cometa nessuno risorge.
59.
Ridotta a telamone la fatica
scema il marsupio che mi tenne
addolorata scheggia di vespro.
In meno di una logora bisaccia
so tenere il vento scaccia nidi
la lotta frale di non essere nulla.
Gemella fui con molto dolore
nascemmo sotto il peso di affannare
la lirica blasfema del mare ucciso.
In meno che non si dica persi la fola
del credo d’angelo la genesi corrotta
sotto il cantiere saturo di grida.
Il salvacondotto non mi soccorse mai
la canicola agostana stanò le ossa
verso un verdetto nazi di dirupo.
La lucertola vispa e solitaria
ebbe la luce di una vita rada
vicino casa più oltre sentinella.
Morì da subito la supplica fraterna
sotto il masso d’incubo avverato
la mia stagione cantica di frodo.
60.
Scosceso dirupo il simulacro del corpo
l’età sconnessa nella trincea
fa rimanente il traliccio del sangue.
Cigola la ronda degli sconfitti
l’agone fatuo del talamo
l’amara gola, martirio concavo
nascere. Maretta se fui innamorata
oggi non so redigere ricordo
o dolo chissà la salsa pecca.
Caligine rimane e senza tetto
la scuola latente di farsi moribondi
o schivi androni di lontani schiavi.
61.
Mare a forza stagno
nel fronte del dolore
dove s’inerpica l’inguine
di non mostrarsi
simili al dovere di morire.
Con le turbe del vicolo
le colonie d’infanti nenie
vermiglie le madri mitiche
azzerate meraviglie le rincorse.
Se appello non fu salvezza
ora la canicola del sale
sbriciola la colpa del ciottolo.
Paziente la bestiola salva
stimoli la rotta di ridere
nel finalmente mentore angelico.
62.
Taciturno bavero senza risveglio
l’ultimo incontro da svegli
nel crepuscolo morto a noi insieme.
Origine di calunnia l’età
balistica di crepa
pagliaccio il senso del costrutto.
Avvenga salva quasi la voglia
nella sventura avvenente
chissà quale singolo anfratto.
Cortese cavaliere il ciclo di rondini
dismesse le aureole delle aquile
impotenti, crisi di dio non più
guardarti. Ora la cerchia dei mistici
è orba per la cerbottana tradente.
Mai guardinghi ormai non esserci
si stipuli il verdetto del fondo
quando qualora forse ci sarà dispaccio.
63.
L’àncora frolla che non seppe
raccogliere la sabbia a far di casa
i verbi del seno solare.
Ospizio disperano i malati
le gole sul cortile d’ospedale
ma le ronde di gatti fraternizzano.
Velo spartano la sposa di borgata
catapulta la nuca nel bacio
mandorlate le labbra innamorate.
Le giurie di sale fagocitano verdetti
mentre i titani corrono alle culle
per veridicità di un tempo d’avvenire.
Cantanti di operette ai pianerottoli
fanno rincasare i vagabondi
dentro le strenne di gonne di tulle.
Veridici gli gnomi badano le porte.
64.
Ho finito il mio viso
in un arato di stoppie
il dolore delle spighe
fu tremendo.
65.
Genialità d’ombre
le gesta del salice
quando le gerle delle montagne
trafugano i cardi
con le viole sposate
agli inguini dei boschi
nei cimeli dei sassi
in bilico col coma
degli ultimi salvacondotti.
Partenze di stasi il non ritorno
si agevola la nebbia per sempre
valvola di radio senza onda
la dinastia stipata dentro la grotta
poliglotta di echi altrove le chimere.
66.
Oramai le gemelle Pizzi
Susanna e Marina sono
morte. Le loro braci
non esistono non estinguono
i visi similari
su i raccordi delle città
sfilacciate da le foschie
cialtrone ne i verdetti letali.
I cigolati transitano la notte
per guerre non trasmesse in TV.
I loro braccialetti con i nomi
minano la terra con bolle di saponi
attigui ai giocattoli del tempo
furente. Nessuna eredità da godere
date le fuggitive genesi ridotte
a fatui indizi dilapidati senza talee.
[1] La prima parte è stata pubblicata in questa rivista il 4 ottobre 2023.