Jean Luc Nancy e il non finito della democrazia – di Alessandro Simoncini

Jean Luc Nancy e il non finito della democrazia – di Alessandro Simoncini

26 Settembre 2024 Off di Francesco Biagi

 

La democrazia neoliberale di cui oggi sperimentiamo l’ormai lunga crisi, non è mai stata la democrazia trionfante e compiuta che si sarebbe dovuta affermare sulla spinta della vittoria epocale del mercato. Dopo quella che in modo hegelianamente perverso Francis Fukuyama definì la fine della storia, la sconfitta del “socialismo reale” e di ogni comunismo inteso come possibile alternativa politica, economica e sociale, non ha portato a una felice fine della democrazia[1]. Al contrario – sopravvissuta come uno zombie alla “fine della fine della storia” – più che realizzare una democrazia senza fine, almeno a partire dalla crisi degli anni ’70 la democrazia neoliberale ha covato a lungo in seno tutte le contraddizioni che rischiano oggi di condurre a una fine della democrazia di segno del tutto opposto a quella gaudente ed espansiva auspicata da Fukuyama[2]. Di tutto ciò era pienamente consapevole Jean-Luc Nancy, quando nel 2019 scriveva: “trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino e della cortina di ferro i conti con i sogni sull’estensione mondiale della democrazia non tornano”[3]. A fare i conti con quei sogni, del resto, Nancy ha dedicato una parte significativa sua riflessione politica e testi molto rilevanti. Le pagine che seguono prendono in esame solo una piccola parte dell’una e degli altri.

 

  1. Critica dello spettacolo e della democrazia “gestionale”

Già alla metà degli anni ’90, nel suo Essere singolare plurale, un libro che non trattava ancora direttamente il tema della democrazia, Nancy sosteneva che le società democratiche capitalistiche realmente esistenti erano svuotate di ogni “«sociazione», di ogni «mettersi in società», per non parlare – aggiungeva senza nostalgie –, delle «comunità» e delle «fratellanze» con cui si forgiavano un tempo le scene primordiali”[4]. In divergente accordo con il pensiero situazionista – un tema non molto indagato del pensiero di Nancy –, il filosofo francese scriveva che le nostre formazioni sociali sono tutte  accomunate dal fatto di essere “società dello spettacolo” o “società spettacolari mercantili”: società formalmente democratiche che nella propria ragion d’essere non assegnano più alcun ruolo a quel cum che è al contempo radice di comunità e di comunismo[5]. In quelle pagine Nancy riprendeva in modo stimolante la critica situazionista dello spettacolo, per poi formularne però anche una critica (non troppo originale) di stampo nietzscheano. Nancy riproponeva infatti l’accusa, più volte avanzata a Guy Debord e compagni, di “rinviare a qualcosa che è dell’ordine della verità interiore”: a un “desiderio”, a un’“immaginazione”, a una “vera vita” che – concepita come “origine propria, come auto-dispiegamento e auto-soddisfazione” – si contrapporrebbe romanticamente (e metafisicamente) all’alienazione spettacolare[6]. Alla ricerca di un improbabile “dentro”, la critica situazionista risulterebbe quindi incapace di pensare fino in fondo “il «fuori» al quale siamo esposti e senza il quale la nostra esposizione non avrebbe luogo[7]. In fin dei conti quindi – sembra pensare Nancy – l’attacco dei situazionisti allo spettacolo rimane chiuso nell’orizzonte metafisico di un’“ontologia dell’Altro” che rischia di approdare a una critica elitaria del capitalismo: una critica ancora lontana da quell’“ontologia dell’essere-gli-uni-con-gli-altri […] per tutti e per ciascuno” che sarebbe invece necessaria per concettualizzare correttamente la realtà effettuale a partire dall’esteriorità e dalla contingenza[8]. È in queste dimensioni infatti – o nell’“esposizione”, per usare il lessico di Essere singolare plurale –, che per Nancy si manifestano tanto la “realtà dell’essere in comune” quanto l’“essenza singolare plurale dell’essere”[9].

Nello stesso capitolo, però, Nancy sembra contraddirsi. Sostiene infatti che il situazionismo “non disconosce completamente” la necessità di questo genere di critica, perché intende la società dello spettacolo come affermazione “della società di fronte a se stessa, e forse ancor di più […], della società in quanto esposta a se stessa e ad essa sola”[10]. In questo senso parti rilevanti della critica situazionista riuscirebbero a sottrarsi alla metafisica, rimanendo fondamentali per l’indagine della società dello spettacolo così com’è, senza altro orizzonte al di fuori di sé: ossia nella sua nudità, dove l’essere sociale è definito unicamente da un gioco di specchi “che si perde nei bagliori scintillanti del suo rispecchiamento”[11]. Sulle basi di questa ripresa del situazionismo – una ripresa più produttiva della critica –, Nancy sostiene che la “società spettacolare mercantile” è solo l’ultimo stadio della società del capitale, il cui tratto caratterizzante non è la forclusione di un’inesistente comunità primitiva o autentica (come vorrebbe certo pensiero conservatore), ma la disposizione del concreto essere in comune delle singolarità plurali sotto il segno della valorizzazione capitalista[12]. Al fine di realizzare l’“estorsione del plus-valore”, infatti, il capitale dispone socialmente “la simultaneità del singolare […] e del plurale” in modo tale da poter coniugare l’“«atomizzazione dei produttori» (dei soggetti ridotti all’essere-produttore)” e la “«reticolazione del profitto» (non una distribuzione egualitaria – scrive Nancy –, ma una concentrazione sempre più complessa e delocalizzata)”[13]. È procedendo in questo modo che – per il filosofo francese –, mentre si mondializza e promuove ovunque i “diritti dell’uomo”, la “violenza del capitale” si applica non tanto a un soggetto comunitario supposto autentico quanto al comune e al “con-esserci”[14]. L’“essere singolare plurale in quanto tale” e “l’essere in quanto essere sociale” – scrive Nancy – vengono cioè allineati, nell’esteriorità, alla logica del valore, che procede secondo un “accrescimento indefinito, circolatorio e auto-telico”[15].

In questo modo l’“essere-insieme diventa un essere-merce e un essere-mercificato”[16]. Esponendo in permanenza l’“essere-con singolare e plurale” (ossia tutti e ciascuno) al processo di valorizzazione, il “cattivo infinito” del capitale – scrive Nancy, con Hegel e Marx – genera “un processo autistico senza fine” attraverso cui il valore mira unicamente a “riprodurre la sua stessa potenza” su scala globale[17]. Questo processo – scrive altrove Nancy – non è tanto “infinito” quanto “illimitato”: la sua “infinità” si risolve infatti in un un’“interminabile produzione di capitale” o, che è lo stesso, in un’“interminabile accumulazione di cose, tutte equivalenti in quanto misurate da quella possibilità stessa di accumularle il cui nome è moneta[18]. Per Nancy il processo illimitato dell’accumulazione si estende in modo decisivo proprio con l’affermazione della società dello spettacolo, dentro cui l’assiomatica del valore mira estende la propria presa sull’immaginario e sull’ordine simbolico, e per questa via sull’intero essere sociale. Lo spettacolo di cui ha parlato Debord – scrive Nancy – porta così a compimento il “feticismo della merce (cioè il dominio del capitale)” per come lo ha inteso Marx[19]. Questo compimento avviene attraverso una “simbolizzazione della produzione” sempre più globale, che consiste nel produrre e commercializzare “«beni» materiali e simbolici, tra cui in primo luogo l’ordinamento del diritto democratico”: beni che “hanno tutti il carattere d’immagine” e che sono tutti ugualmente destinati al consumo materiale o intellettuale[20]. Oltre alla democrazia, tra i beni simbolici che lo spettacolo tiene in constante produzione – e in grande considerazione, sostiene Nancy –, c’è “una rappresentazione dell’esistenza come invenzione e come evento appropriante di sé”[21]. Il soggetto che fa propria quella rappresentazione si crede libero e padrone di sé, proprio mentre tende a ridursi “alla somma o al flusso delle rappresentazioni che acquista”[22]. La forza dello spettacolo consiste quindi nella capacità di plasmare la soggettività degli individui e il  loro “essere-con” attraverso la produzione e la cattura di desideri, sentimenti, emozioni, capacità culturali, forze inventive e comunicative: il tutto sotto l’egida della ragione mercantile, che detiene il monopolio della fabbricazione del senso. È questa – continua Nancy – “la miseria dello spettacolo” che i situazionisti seppero ben diagnosticare: la “misera simbolica” di una “co-esistenza il cui co non rinvia più a qualcosa grazie al quale l’esistenza possa dirsi in quanto tale e possa dare un senso all’essere”[23]. Nella società spettacolare mercantile, a cui fa da pendant una democrazia altrettanto spettacolare, tende quindi a realizzarsi una vera e propria fine del senso: “non c’è più nulla che possa fare senso, comune o individuale” – scrive Nancy – e “l’essere-insieme” (o “l’esistenza-con”) viene riconfigurato come “essere-insieme-allo-spettacolo”[24].

In questo senso, diversi anni dopo Nancy scriverà con una certa radicalità  che “la democrazia non ha sufficientemente capito che doveva essere anche «comunismo», in qualche modo, perché altrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessità e dei compromessi, priva di desiderio, cioè di spirito, di soffio, di senso”[25]. È un brano abbastanza noto di Verità della democrazia, l’importante saggio del 2008 in cui – dentro e contro l’affermazione di quel neoliberalismo che “da quarant’anni funziona secondo lo schema «laissez-nous faire et tout ira bien»”[26] –, Nancy rimette in questione una “democrazia gestionale” del tutto incapace tanto di “portare alla luce il demos che doveva costituirne il principio” quanto di assicurare a tutte/i “giustizia e dignità”[27].  Non è certo un gesto critico inedito – sostiene il filosofo –, dal momento che già il ’68 tentò di contrastare l’“inadeguatezza della democrazia (rappresentativa, formale, borghese) nei confronti della sua stessa Idea”[28]: un’idea che, sulla base di una concezione progressista e in fin dei conti teleologica della storia, prometteva “la libertà di tutto l’essere umano nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani”[29]. A quarant’anni dal Maggio francese, Nancy proponeva di rilanciare il tentativo del ’68 in opposizione alle democrazie neoliberal-spettacolari che avevano preso forma nei decenni successivi. Per farlo, a suo dire occorreva riattivare, aggiornandolo, lo “spirito” del ’68: uno spirito che “non ha mai smesso di soffiare” e che punta a costruire una democrazia in cui l’“autorità” non viene semplicemente rigettata, ma non può più definirsi a partire da un’“autorizzazione preliminare istituzionale, canonica, normata”[30]. Per essere tale, l’autorità democrazia deve edificarsi invece a partire da un “desiderio in cui si esprime e si riconosce un’autentica possibilità di essere tutti insieme, tutti e ognuno[31]. “’68” – come lo chiama semplicemente Nancy – non è stato una forma di governo o un regime politico, ma innanzitutto questo spirito democratico permeato dall’“esigenza comunista” di opporre il comune, l’incalcolabile, l’infinito – inteso come il “soffio” che spinge l’uomo a superarsi continuamente – “alle requisitorie di una cultura del calcolo generalizzato, chiamato capitale”[32].

’68 aveva dunque compreso che la democrazia doveva essere anche “comunismo”, desiderio, spirito, soffio, senso. Riprenderne lo spirito quarant’anni dopo – sostiene Nancy – significava  però sottrarsi a ogni iper-politicismo e sottolineare che l’incalcolabile e l’infinito si condividono nell’arte, nell’amore, nell’amicizia, nel pensiero, nel sapere, nell’emozione, e non nella “politica democratica”[33]. Quest’ultima serve solo a disegnarne il contorno e a “mantenere l’apertura [che] ne garantisce l’esercizio” permanente[34]. Una politica democratica – scrive Nancy – non “sussume questi registri ma dà loro spazio e possibilità”: permette cioè di costruire il senso come un non-finito, nella “nostra comune partizione”[35].

 

  1. La democrazia come decisione per l’essere-in-comune

In democrazia il senso non è già dato, deve essere costruito. La democrazia riconosce infatti apertamente che il vero senso dell’essere è l’assenza di un senso ultimo. Al posto di un’“archia posta, deposta, imposta” (dagli Dei o dai padroni) essa mette il “krateïn democratico”, secondo la cui logica – scrive altrove Nancy con Claude Lefort – “il potere appare come un luogo vuoto, e coloro che lo esercitano come dei semplici mortali che lo occupano solo temporaneamente”[36]. Il potere del popolo è fondato sul nulla ed è in questo senso che, seguendo Bataille (contro Schmitt[37]), Nancy scrive che la sovranità – anche la sovranità popolare – “non è niente”: non è cioè nient’altro che il “potere di mettere in scacco l’archia e poi di prendersi carico, tutti e ognuno, dell’apertura infinita che è stata così messa in luce”[38]. Se si vuole uscire dal nichilismo passivo della politica, l’unico modo è quindi prendere nietzscheanamente sul serio quel niente e farlo “assolutamente”, ossia “nell’infinità che esso apre nella piena finitezza”[39]. La democrazia – scrive Nancy  in un altro passaggio nietzscheano di Verità della democrazia – è “un regime di senso la cui verità non può essere sussunta in nessuna istanza ordinatrice, né religiosa, né politica, né scientifica o estetica, ma che impegna interamente l’uomo in quanto rischio e chance di se stesso, danzatore sull’abisso”[40]. Totalmente infondato, il krateïn democratico si insedia sul nulla ed edifica in permanenza il senso, inteso come un’“iscrizione finita dell’infinito”: come qualcosa, cioè, che “non conclude le nostre esistenze” ma “semplicemente le apre a se stesse, cioè le une alle altre”[41]. È in questo modo che “il senso dell’essere-in-comune” diviene “diversamente sovrano”[42]. La comparizione del senso – scrive Nancy – è un “infinito in atto”[43]. Sulla base di questo dato, il filosofo francese sostiene che la democrazia non deve determinarne i contenuti nello spazio della finitudine, ma deve generare senza posa le condizioni di possibilità di quei contenuti e l’apertura di quello spazio. In questo senso la democrazia è “finita e infinita”[44]. Finita perché non è uno stato di cose né una costituzione data una volta per tutte – scrive Nancy con Castoriadis –; infinita perché  si concretizza in un processo permanente di “auto-istituzione della società per la società” nel quale, senza più riferimenti a principi eteronomi, il popolo sovrano “negozia con se stesso per inventare un’organizzazione che gli permetta di mantenersi e svilupparsi” in piena autonomia come comunità di cittadini liberi ed eguali[45].

Questa “auto-istituzione esplicita della società” esiste solo in quanto “incorporata in individui sociali”[46]. E si dà solo attraverso un movimento di emancipazione continua che è “il vero motore politico della democrazia”: un movimento per mezzo del quale il popolo “si mette costantemente in scarto con se stesso”[47]. In quanto processo emancipatorio, per Nancy la democrazia è anche marxiana. Per Marx infatti – che secondo Nancy  però “non ci ha riflettuto […] in questi termini” –, l’uscita dall’alienazione è un processo infinito come lo è “la produzione (sociale) dell’uomo da parte dell’uomo”[48]. Una vera democrazia deve garantire l’apertura permanente di questo processo e favorire così la produzione senza fine di un senso e di valori che si rinnovano all’infinito. In base a questo senso e a questi valori ciascuno deve potersi affermare nella propria differenza, unicità e incomparabilità – scrive Nancy con assonanze arendtiane –, ma deve poterlo fare attraverso “un’affermazione che «valga» tra tutti”: un’“affermazione inequivalente” che, pur rimandando in ultima analisi “all’apertura del senso singolare di ognuno e di ogni rapporto”, deve però avvenire nel regime di un’“uguaglianza rigorosa”[49]. Per aprire a questo esito, però, la democrazia deve necessariamente sganciarsi dal contesto capitalistico in cui è nata e si è sviluppata. Infatti, per Nancy, il capitalismo ha sempre fatto della merce e del denaro la misura del valore, sottoponendo ogni cosa e ogni forma di vita a una valutazione fondata sulla logica dell’“equivalenza generale”[50]. Adottando la logica formale di un’uguaglianza soltanto giuridica, e favorendo al meglio “la circolazione libera e auto-produttiva dell’equivalenza generale” – ossia “della valutazione esclusiva attraverso il denaro” –, per il filosofo francese la democrazia liberale si è rivelata la forma politica più adatta all’“economia capitalistica”[51]. Per smettere di esserlo, deve quindi conquistare un altro “senso della valutazione”: deve cioè rivelarsi capace di partire dal valore incommensurabile di ciascuno nella propria differenza[52].

In questo senso la democrazia deve assumere “l’esigenza nietzscheana di una «trasvalutazione di tutti i valori»” e adottare un nuovo principio di realtà in base al quale, pur assumendo una rigorosa uguaglianza come assioma, “niente si equivale” perché ognuno è “unico di un’unicità, di una singolarità che obbliga infinitamente” e proprio per questo “si obbliga a essere messa in atto”[53]. Solo quando la democrazia assumerà questa misura valutativa centrata sul principio di “inequivalenza”– argomenta Nancy –, le singolarità incommensurabili potranno fiorire e soggettivarsi nella trama democratica ed egualitaria dell’essere-in-comune. In ultima istanza, la democrazia ha quindi il compito di configurare lo “spazio comune in modo tale che sia possibile aprire in esso tutto il pullulare possibile delle forme che l’infinito può assumere, delle figure delle nostre affermazioni e delle dichiarazioni dei nostri desideri”[54]. Ed è questo compito inesauribile – che consiste appunto nel rendere possibile l’iscrizione finita dell’infinito – a fare della democrazia un non- finito. Il non finito della democrazia svolge questo compito senza il richiamo ad alcun principio trascendente, superiore o esteriore. In ciò è “auto-trascendenza” o “trascendenza nell’immanenza” – scrive Nancy[55]. Il movimento infinito di auto-superamento di cui essa garantisce la costante apertura – che è poi il “movimento attraverso cui l’uomo si trascende all’interno della sua stessa esistenza finita” – è infatti provocato unicamente dalle forze che, associandosi e/o confliggendo, si esprimono nello spazio vuoto dell’immanenza democratica[56]. La quale, per esistere come libero esercizio del senso, “richiede l’impegno durevole e costante di tutti”[57].  In quanto auto-trascendenza, la democrazia “è spirito prima ancora di essere forma, istituzione, regime politico e sociale”, ed è “in primo luogo una metafisica e solo in secondo luogo una politica”[58]. Che la democrazia sia innanzitutto spirito e metafisica non significa però in alcun modo, per Nancy, che essa assuma una connotazione spiritualista o trascendentale. Significa piuttosto che essa pone le condizioni di possibilità per pensare diversamente “l’essere del nostro essere-insieme-nel mondo”, praticando una scelta ontologica fondamentale radicalmente alternativa rispetto a quella con cui il capitalismo ha deciso di fondare la propria civiltà sul principio dell’“equivalenza generale”[59].

La democrazia è una metafisica perché apre all’esercizio di una politica che alla decisione capitalista ne oppone un’altra: una decisione fondamentale per l’essere-in-comune[60]. Adottando l’inequivalenza come nuova misura dell’“essere-con”, da una parte la democrazia apre alla valorizzazione infinita delle singolarità nella loro differenza, molteplicità, incalcolabilità, irrappresentabilità, e dall’altra le mette in comune con la loro incommensurabilità nello spazio finito dell’uguaglianza radicale[61]. In questo senso, per Nancy, la “verità della democrazia” è il comunismo[62]. Esso è infatti “il nostro primo dato”: il fatto cioè che volens nolens il nostro esserci è sempre “con-esserci”, e che quest’ultimo è a sua volta sempre essere-in-comune[63]. “Comune è la condizione dei non-comuni – scrive Nancy – la cui rete fa mondo, possibilità di senso”[64]. Da questo punto di vista il senso, che “non può che andare dall’uno all’altro”, è relazione ossia “verità ontologica del comune”[65]. per Nancy il comunismo non va quindi pensato come un’“ipotesi politica” à la Badiou, ma come un dato ontologico e una “condizione esistenziale”[66]: come l’evidenza, cioè, che “innanzitutto noi siamo in comune. Poi dobbiamo diventare ciò che siamo”[67]. Questa evidenza e questo dato – ancora una volta rilevati con toni nietzscheani – corrispondono a un’“esigenza […] infinita”, e fanno del comunismo una pre-condizione della democrazia: una pre-condizione a cui aderire alla lettera in modo tale da permettere l’apertura di un processo nel corso del quale ciascuno – come si è visto – potrà esprimersi nella propria “differenza affermativa”, diventando così senza posa ciò che è e sottraendosi alla “falsa infinità” dell’“equivalenza generale”[68].

 

  1. “Democrazia infinita” e comunismo esistenziale: sui limiti di un approccio ontologico

Per Nancy il comunismo è quindi, al contempo, pre-condizione e orizzonte mobile della democrazia. Quest’ultima è “infinita”, come infinito è il dato del nostro essere-in-comune. Il comunismo, insomma – scrive il filosofo –, non dipende dalla politica ma ne è la pre-condizione che le attribuisce “un requisito assoluto: quello di aprire lo spazio comune al comune stesso”, senza mai autorizzare un suo compimento “né una modalità di sostantivarlo o di farne un soggetto”[69]. La politica democratica rispetta il fatto che il comune non ha un fine né una fine, e che quindi l’essere-in-comune non va mai sottoposto ad alcuna totalizzazione che rischi di soffocarlo, di astrarlo o di ipostatizzarlo in un soggetto. Questo è accaduto sia con il “comunismo «reale»” – nel quale il totum del collettivo era un “totem del dominio” che imponeva l’“uguaglianza come livellamento in base a una norma” –, sia con la “civiltà” capitalista, entro la quale ogni relazione “poggia sull’equivalenza generale e il cui logos comune è il denaro”, ma in cui “dell’essere-insieme” non si ha più “nessuna notizia”[70]. Contro ogni totalizzazione, per Nancy, la democrazia non può che essere infinita e la sua istituzione non può che aver luogo nella polis attraverso “lotte che dobbiamo pensare sub specie infinitatis humani generis[71]. Nancy concepisce queste lotte come una freccia scagliata al cuore del cattivo infinito del capitale: una freccia capace di “esigere il giusto, il vitale, il bell’infinito dell’uomo, di un uomo al di là dei suoi diritti”[72]. Anche il “mezzo necessario” delle lotte – così lo definisce Nancy – viene correttamente identificato nella “giustizia sociale”, il cui programma è quello di riaprire su basi comuniste la “destinazione dell’uomo”[73]. La giustizia sociale è definita da Nancy come “il primo comandamento comun(ista): accordare al comune (tutti) ciò che il comune (ordinario, uguale) esige”[74].

Eppure, dopo la lettura di Verità della democrazia e di altri testi di Nancy dedicati alla politica, resta l’impressione di essere di fronte a una riflessione acutissima e preziosa, certo, ma di stampo essenzialmente ontologico (e metafisico, nel senso in cui come si  visto l’autore di Essere singolare plurale utilizza e rivendica il termine)[75]. Del resto la riflessione di Nancy sulla democrazia è parte di una più ampia ontologia dell’“essere-con”: un’ontologia che – con le sue stesse parole – mira a pensare “innanzitutto l’essere del nostro essere-insieme-nel-mondo” e solo dopo “quale politica permette che questo pensiero tenti la sua sorte”[76]. L’ontologia di Nancy parte dall’individuazione di una lacuna nell’analitica esistenziale di Martin Heidegger, incapace per lui di articolare la questione dell’“esser-ci” (Da-Sein) con quella del “essere-con” (Mit-Sein): un tema mai sviluppato politicamente in Sein und Zeit[77]. Per questo, considerando che l’esserci non è concepibile se non come con-esserci, e che ogni “ego sum” è sempre un “ego cum”, Nancy propone un’“analitica co-esistenziale” che converga con un’“ontologia politica del comune”[78]. In questo senso, in Nancy ontologia, analitica esistenziale e politica si toccano e si connettono. Ma nella prospettiva di un’ontologia dell’“essere-con” – in cui l’attenzione è rivolta principalmente all’essere come co-esposizione di una pluralità di singolarità e come “spaziatura sopraggiungente del co, singolare plurale» –, la dimensione politica tende ad essere invisibilizzata da quella ontologica [79]. Com’è stato scritto, quindi, la proposta di Nancy resta spesso “nell’ambito di una definizione di principio di cui non sono chiari gli agganci alle dinamiche” politiche[80]. E la sua “democrazia infinita” rischia talvolta – non sempre – di somigliare a “una sofisticata riproposizione della democrazia procedurale che dovrebbe garantire la déclosion degli spazi del singolare-plurale”[81]. Non si comprende bene, poi, come in quegli spazi possa irrompere il disaccordo dei “senza parte”[82]. Al punto che c’è chi ha parlato di “sublimazione della questione politica in questione ontologica”[83]. Non è forse un caso, quindi, che a Nancy capiti di definire la democrazia un po’ astrattamente come “l’espressione di una spinta interna all’umanità per non subire più un destino e, al contrario, conquistare una forma di dominio sulla propria esistenza”[84]. O che, in un libro scritto insieme a Jean-François Bouthors, egli giunga a contrastare risolutamente ogni “utopia di una democrazia diretta”, sostenendo che la democrazia rappresentativa è l’unica capace di compensare l’“incapacità del popolo di essere il proprio stesso sovrano”[85].

Anche il “comunismo” di Nancy, come si è visto, non è politico. È piuttosto un “comunismo esistenziale” fondato sulla “com-parizione dell’essere-in-comune” e sull’“annodatura infinita delle singolarità, opposta alla realizzazione della comunità umana come opera” compiuta[86]. “Comunismo è essere insieme (Mitsein) – scrive Nancy – da intendersi come appartenente all’esistenza degli individui, ciò che significa in senso esistenziale (in termini heideggeriani) la loro esistenza”[87]. E utilizzando “i termini di Heidegger relativi al mit del Mitsein”, il filosofo specifica che “il co– di «comunismo»” non è “un «con» «categoriale» ma «esistenziale»”; appartiene “all’essere di ciascuno e di «noi» insieme, se si può dire, all’essere del nostro incontro”[88]. Come ha osservato Augusto Illuminati l’ontologia dell’“essere-con” di Nancy è senz’altro utile a criticare “lo scivolamento nell’equivalenza generale della merce mediante la soppressione di ogni telos della libertà”, ma rischia di prestarsi all’utilizzo di teorici interessati per lo più a “liberare il liberalismo dal liberismo”[89]. Lo sforzo teorico del filosofo francese corre insomma il rischio di non andare “molto oltre una definizione della libertà come inappropriabile”[90]. Più che politica, la radicalità di Nancy – che allude soltanto a una politica dei governati capace di costruire la futura democrazia del comune – appare dunque ontologica ed etica. Ed è nella direzione di una simile radicalità sembrano andare proposizioni di questo tipo: “non si uscirà dal capitalismo ponendo le basi di un’altra economia, costruendo altre istituzioni politiche. […] La trasformazione verrà dall’interno, per mezzo di una mutazione morale e spirituale”[91].

A giudizio di chi scrive, il lascito più importante del Nancy “politico” è quello che permette di chiarire non soltanto che il popolo non ha nulla a che fare con qualcosa di simile a un’essenza, a un’identità, un’etnia, una nazionalità, un’autenticità, ma anche che il meccanismo della rappresentanza – che pure è di per sé inevitabile in democrazia – non è affatto sufficiente a restituirne la complessità politico-esistenziale. Anzi la elide. Per Nancy, infatti, quella complessità si manifesta nella comparizione e nella co-esistenza dei singoli, da intendere nella loro irriducibile pluralità e irrappresentabilità. La democrazia rappresentativa non può incontrare il popolo se si limita a intenderlo come la figura astratta del popolo-Uno costruita dalla fabula del contratto o delle elezioni. Come ha sostenuto Fausto De Petra, per Nancy il popolo esiste infatti “nella sua «attualità» ancor prima di qualsiasi contratto”[92]. Il popolo sovrano della democrazia non è per lui l’astrazione che prende forma nei parlamenti, ma “il popolo degli uomini che si fanno reciprocamente sudditi e soggetti (sujets)” dentro “un rapporto di ciascuno con sé, nel rapporto di ciascuno con tutti gli altri”[93]. E in democrazia – scrive Nancy – si ha “un assoggettamento di tutti quanti a questo rapporto”[94]. La democrazia è vera democrazia solo se concepisce in questo modo il potere (krateïn) del popolo (demos); e se – anche utilizzando l’astrazione rappresentativa (muovendosi cioè dentro e contro di essa) – gli assegna il compito principale di “affermare incondizionatamente l’uguaglianza e la libertà, l’egaliberté delle singolarità, per dirla alla Balibar”[95]. Se la democrazia è solo governance o governamentalità – come accade nella democrazia neoliberale –, o viene evocata soltanto al fine del riconoscimento formale dei diritti dell’individuo proprietario (ridefinito oggi come imprenditore di se stesso), essa non può aderire a quel concreto “«comune dell’esistere» insieme” che è per Nancy uno dei principali nomi del popolo[96]. La democrazia per Nancy ha quindi senso solo se le corrisponde una società in cui – nell’apertura infinita alla singolarità e alle differenze – “lo Stato di diritto, i diritti umani, le libertà fondamentali, il principio di uguaglianza” cessano di essere “definizioni formali” e diventano cose reali: cose che “il potere è in grado di realizzare per il popolo e attraverso il popolo”[97].

Ma se è certo che – concepita come un non finito – la democrazia di Nancy non può scaturire che dall’esercizio permanente di quel potere, nella prospettiva teorica di Nancy resta irrisolto il problema di come esso possa prendere forma e articolarsi. Come si costruiscono le istituzioni di un contro-potere popolare cosciente e organizzato che, dentro e contro la sfera istituzionale della rappresentanza, possa alimentare una dinamica insorgente? Quali sono gli organi e i movimenti democratici che, nella loro “intersezione mobile ed evolutiva” – come ha scritto di recente Etienne Balibar[98] –, possono istituire il krateïn del demos nella durata? Quali sono e come possono divenire effettuali i soggetti di quel processo permanente di auto-istituzione della società che, con Castoriadis, chiamiamo democrazia? A queste domande – che appaiono di centrale importanza nel momento in cui le democrazie neoliberali si rivelano apertamente post-democratiche e tendono a convergere verso le istanze più retrive dei post-fascismi montanti – il comunismo esistenziale di Nancy e la sua pur preziosa riflessione sulla “democrazia infinita” non possono dare risposta.

 

Note: 

[1] F. Fukuyama,  La fine della storia e l’ultimo uomo (1992), Milano, Rizzoli, 2009. L’embrione della riflessione di Fukuyama risale a The End of History?, in “The National Interest”, 16, 1989, pp. 3-18, la cui prima fonte di ispirazione sono le note conferenze sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel, tenute da Alexandre Kojève all’École pratique des hautes études a Parigi tra il 1933 e il 1939. Cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel (1947), Paris, Gallimard, 1980. Sull’hegelismo “perverso” di Fukuyama, cfr. M. Cavalleri, “Pro Hegel or contra”. Considerazioni critiche sull’utilizzo del concetto di fine della storia in F. Fukuyama, in “Scienza&Politica”, 61, 2019, pp. 110-114.

[2] Cfr., ad esempio, C. Galli, Democrazia, ultimo atto?, Torino, Einaudi, 2023 e D. Palano, Apocalisse democratica. Pensare la “fine della democrazia” dopo la pandemia, in “Power and Democracy”, 2, 2020, pp. 4-28. Sulla “fine della fine della storia” cfr. A. Hochuli, G. Hoare, P. Cunliffe, La fine della fine della storia. Lo strano ritorno della politica nel XXI secolo, Milano, Tlon, 2022 e E. Balibar, Régulations, insurrections, utopies. Pour un “socialisme” du 21ème siècle, in Id., Histoire interminable, Ecrits I, Paris, La Découverte, 2020, pp. 264-298.

[3] J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, Paris, Bourin, 2019, pp. 144 e 118; J.-L. Nancy, Démocratie finie et démocratie infinie, in G. Agamben et alii, Démocratie, dans quel état?, Paris, La Fabrique, 2009, pp. 77-94.

[4] J.-L. Nancy, Essere singolare plurale (1996), Torino, Einaudi, 2001, p. 69.

[5] Ibidem. Nel ’68 Nancy fu in stretti rapporti con il situazionismo. Ne accenna in Philosophe de la communauté, intervista a “France culture”, 21 dicembre 2018, on line, dove afferma: “per noi ’68 è stato completamente situazionista, cioè il rifiuto di tutto”. È stato “festa e al contempo sconvolgimento generalizzato”. Non è stato “proiezione di avvenire”, ma essenzialmente “sospensione”.

[6] J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, cit., p. 74.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 75.

[9] Ivi, pp. 76-77.

[10] Ivi, p. 75.

[11] Ivi, p. 69. Sul punto cfr. V. Cuomo, Recensione a J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, in “Kainòs”, 2, 2002, on line e V. Fabbri, La ville dans les films de Guy Debord, in “Appareil”, Numéro spécial, 2008, on line.

[12] J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, cit., pp. 101-103.

[13] Ivi, p. 101.

[14] Ivi p. 102. Nella pagina precedente Nancy usa anche la locuzione “disumanità violenta del capitale”.

[15] Ivi, pp. 101-102.

[16] Ivi, p. 102.

[17] J.-L. Nancy, La creazione del mondo, o la mondializzazione (2002), Torino, Einaudi, 2003, p. 16.

[18] Id., Comunismo, il termine, in C. Douzinas, S. Zizek (a cura di), L’idea di comunismo, Roma, DeriveApprodi, 2011, p. 175. Traduzione lievemente modificata.

[19] Id., Essere singolare plurale, cit., p. 69. Il riferimento è ovviamente a K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica (1867), Roma, Editori Riuniti, Libro I, pp. 84-97. Nancy è tornato sul feticcio in Marx, in Id., I due segreti del feticcio. Debito, desiderio, distruzione tra psicoanalisi, economia e filosofia, in F. Leoni (a cura di), Re Mida  Wall Street, Milano, Mimesis, 2015, pp. 21-29.

[20] Id., Essere singolare plurale, cit., p. 69.

[21] Ivi, p. 71.

[22] Ibidem.

[23] Ivi, p. 72.

[24] Ibidem. Nancy non considera questo processo come se fosse definitivamente chiuso.

[25] J.-L. Nancy, Verità della democrazia (2008), Napoli, Cronopio, 2009, p. 31.

[26] L’optimisme selon Jean-Luc Nancy. Entretien avec Eric Aeschimann (2013), in “Le Nouvel Obs”, 24 agosto 2021, on line. Sul concetto di “democrazia infinita”, cfr. J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, Paris, Bourin, 2019, pp. 144 e 118; J.-L. Nancy, Démocratie finie et démocratie infinie, cit..

[27] J-L. Nancy, Verità della democrazia (2008), Napoli, Cronopio, 2009, pp. 14-16.

[28] Ivi, p. 16.

[29] Id., Démocratie finie et infinie, cit., p. 78.

[30] Id., Verità della democrazia, cit. p. 29.

[31] Ibidem.

[32] Ivi, pp. 32-33.

[33] Ivi, p. 36.

[34] Ivi, pp. 35-36.

[35] Ivi, pp. 38 e 53. Sul punto cfr. S. G. Mohamed, Comunità, inoperosità e democrazia in Jean-Luc Nancy, in “Isonomia”, 9 luglio 2017, on line.

[36] J-L. Nancy, Verità della democrazia, p. 53; C. Lefort, L’invention démocratique. Les limites de la domination totalitaire,

Paris 1981, pp. 172-173 (traduzione lievemente modificata), cit. in J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, cit., p.111.

[37] Sul confronto sottotraccia di Nancy con Schmitt, cfr. M . Villani,  Il negativo della politica. Sul lascito teoretico di Jean-Luc Nancy, in “Post-filosofie”, 15, 2022, cit., pp. 225-250.

[38] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 63.

[39] Ibidem.

[40] Ivi, p. 66. Sul punto, cfr. I. Dominijanni, Il corpo della democrazia, in “Il manifesto”, 6 agosto 2008.

[41] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 64.

[42] Id., Il senso del mondo (1997), Milano, Lanfranchi, 1997, p. 114.

[43] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 40.

[44] Id., Démocratie finie et infinie, cit.

[45] J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, Paris, Bourin, 2019, pp. 95-96. I due autori richiamano C. Castoriadis, La montée de l’insignifiance, Paris, Seuil, 1996, ma cfr. anche Id., Listituzione immaginaria della società (1975), Torino, Bollati Boringhieri, 1995.

[46] C. Castoriadis, Le Monde morcelé. Les carrefours du labirinthe 3, Paris Le Seuil, 1990, cit. in ivi, pp. 182-183.

[47] J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, cit., p. 97.

[48] J-L. Nancy, Démocratie finie et infinie, cit., pp. 40-41.

[49] Ivi, p. 50.

[50] Ivi, p. 47. Sull’opposizione tra democrazia e capitalismo in Nancy, cfr. M. Villani, Arte della fuga Estetica e democrazia nel pensiero di Jean-Luc Nancy, Milano, Mimesis, 2024, pp. 339-341.

[51] J-L. Nancy, Être-avec et démocratie, in “Po&sie”, 1, 2011, on line.

[52] Id., Verità della democrazia, cit., p. 49.

[53] Ivi, pp. 19 e 50-51, dove Nancy parla della necessità “di questo apparente ossimoro” che è una “democrazia nietzscheana” (ivi, p. 45). Sul punto, cfr. F. Neyrat, No/Us: The Nietzschean democracy of Jean-Luc Nancy, in “Diacritics”, 2 2015, pp. 66-87.

[54] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 55.

[55] J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, cit., p. 53.

[56] Ivi, p. 11.

[57] Ivi, p. 57. Sul punto, cfr. G. Bensussan, Partage de Nancy. Démocratie et philosophie, in “Les Cahiers Philosophiques de Strasbourg”, 55, 2024, pp. 99-118.

[58] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 68.

[59] Ibidem. Sul punto cfr. M. Villani, Lo spirito della democrazia, in “Post-filosofie”, 13, 2020, p. 177.

[60] Sulla “politica della decisione” di Nancy, intesa come una “decisione sul noi” ispirata alla fraternité e al “comunismo ontologico” – e in ciò diametralmente opposta alla decisione amico-nemico “che fonda il politico nella tradizione aperta da Carl Schmitt” –, cfr. D. Tutt, On The Communism of Jean-Luc Nancy, in “Philosophy World Democracy”, 22 giugno 2022.

[61] In questo senso De Petra ha efficacemente sostenuto che il pensiero di Nancy può essere letto come un atto di “resistenza del comune alla dittatura di quel «cattivo infinito» del nichilismo capitalista che tende a totalizzare l’esistenza dell’uomo sotto il segno di un’equivalenza mercatoria di ogni «valore» e a un indistinto omogeneizzante che riduce ogni differenza a un’identità, ogni altro allo stesso”. F. De Petra, Jean-Luc Nancy, l’inoperosa potenza del comune, in “Dinamo Press”, 30 agosto 2021.

[62] J-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 61.

[63] Ivi, pp. 22-23.

[64] Id., Comunismo, il termine, in A. Badiou, S. Zizek, L’idea di comunismo, Roma, DeriveApprodi, 2011, p. 173.

[65] Ivi, p. 171.

[66] Sul punto, cfr. F. De Petra, Lo scandalo della democrazia infondata, in AA. VV., Pensare con Jean-Luc Nancy, “B@belonline”, 10-11, 2011, p. 94. L’oggetto polemico di Nancy sono gli scritti raccolti in  A. Badiou, L’hypotèse communiste, Paris, Lignes, 2009.

[67] J.-L. Nancy, Verità della democrazia, cit., p. 23.

[68] Ivi, p. 64.

[69] Id., Comunismo, il termine, cit., p. 173.

[70] Id., Le commun le moin commun, in “Actuel Marx”, 48, 2010, pp. 58-59.

[71] Id., Verità della democrazia, cit., p. 59.

[72] Ivi, p. 61. Corsivo mio.

[73] Ivi, pp. 66-67.

[74] Id., Comunismo, il termine, cit., p. 175.

[75] Id., Verità della democrazia, cit., p. 59. Cfr. anche i testi contenuti in Id., Politica e «essere con». Saggi, conferenze, conversazioni, Milano, Mimesis, 2013.

[76] Id., Verità della democrazia, cit., p. 68. Per uno sguardo complessivo sull’ontologia di Nancy, cfr. F. Recchia Luciani, Jean-Luc Nancy. Il corpo pensato, Milano, Feltrinelli, 2022.

[77] M. Heidegger, Essere e tempo, Torino, UTET, 1969.

[78] J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, cit., p. 65 e pp. 125-131. Sul punto cfr. F. De Petra, Comunità, comunicazione, comune. Da Georges Bataille a Jean-Luc Nancy, Roma, DeriveApprodi, 2010, pp. 149-191. Per una ricostruzione efficace della traiettoria del pensiero di Nancy, nella sua oscillazione tra decostruzione del politico, ontologia e politica democratica, cfr. S. Dadà, Dall’essere-con alla democrazia. Evoluzione dell’idea di “politico”in Jean Luc Nancy, in M. Di Pierro, F. Marchesi (a cura di), Crisi dell’immanenza. Potere, conflitto, istituzione, “Almanacco di filosofia e politica”, 1, 2019, pp. 189-202.

[79] J.-L. Nancy, Essere singolare plurale, cit., p. 54.

[80] A. Illuminati, Prefazione, in F. De Petra, Comunità, comunicazione, comune, cit., p. 8.

[81] Ibidem.

[82] Ibidem. Il riferimento è ovviamente a J. Rancière, Il disaccordo. Politica e filosofia, Roma, Meltemi, 2007.

[83] S. Dadà, Dall’essere-con alla democrazia, cit., p. 202.

[84] J-F. Bouthors, J.-L. Nancy, Démocratie! Hic et nunc, cit., p. 144.

[85] Ivi, pp. 103-104.

[86] A. Illuminati, Prefazione, cit. p. 9. Sul punto F. Neyrat, Le communisme existentiel de Jean-Luc Nancy, Paris, Lignes, 2013.

[87] J.-L. Nancy, Comunismo, il termine, cit., p. 169.

[88] Ivi, p. 170.

[89] A. Illuminati, Prefazione, cit. p. 9.

[90] Ibidem.

[91] E. Aeschimann, Jean-Luc Nancy, philosopher à Strasbourg, in “Liberation”, 2 luglio, 2011.

[92] F. De Petra, Lo scandalo della democrazia infondata, cit., p. 94.

[93] J.-L. Nancy, La creazione del mondo o la mondializzazione, cit., p. 101.

[94] Ibidem.

[95] F. De Petra, Lo scandalo della democrazia infondata, cit., p. 94. Sul concetto di égaliberté cfr. E. Balibar, La proposition de l’égalibertè. Essais politiques 1989-2009, Paris, P.U.F., 2010.

[96] J.-L. Nancy, Ré-fa-mi-ré-do-si-do-ré-si-sol-sol: “le peuple souverain s’avance”, in Aa. Vv., La démocratie à venir. Autour de Jacques Derrida, Paris, Galilée, 2004, p. 342.

[97] M. Armiero, Ripensare il Sessantotto dopo 50 anni. Conversazione con Jean-Luc Nancy a partire dal suo libro “Verità della democrazia”, in “Alfabeta2”, 11 marzo 2018, on line. Traduzione lievemente modificata.

[98] É. Balibar, Le peuple à venir: union de la droite vs front populaire, in “Analyse Opinion Critique”, 25 giugno 2024, on line.