MARIO TOMAI – LOOK DOWN

MARIO TOMAI – LOOK DOWN

30 Maggio 2022 Off di Francesco Biagi

 

Faglia obliqua [1]

 

Fu un tempo di uniforme apprensione.

L’imperatore sedeva piagato e attassato sul trono,

ma nessuno se ne dava troppo pensiero,

perché già da tempo si vociferava della sua galoppante demenza

e ci si augurava in silenzio la sua dipartita.

Per evitare il progredire dell’epidemia,

gli anziani malati furono portati in recinti spinosi con alti steccati,

isolati e nascosti alla vista,

il loro numero divenne un incalcolato segreto,

rivelarlo un delitto di Stato:

così non intaccò le statistiche positive ed euforiche diffuse da un governo benevolo.

Gli adulti organizzavano danses joyeuses

nelle vie intorno alle mitragliere sfilanti

party con sostanze inebrianti,

i bambini si uccidevano seguendo le indicazioni di un Maestro dei Giochi,

che on line predicava la maternità della morte.

La fuga dalla fine

divenne la frenesia dominante dei vecchi,

la fuga verso la fine l’ebbrezza convulsa dei giovani.

Come sempre

ci fu chi ammucchiò dobloni d’oro e sesterzi

lucrando sul sapone ricavato dai corpi.

 

***

 

«Città irreale»

percorsa da neri cani affannosi

e miasmi di vento

 

«Non ci credo è impossibile

che morte così tanti

ne abbia disfatti»

 

girano torvi scherani

con oscuri aloni sul capo

narcisi

col respiro breve e mozzato

senza il coraggio di morirsi nell’acqua.

 

Gli inamati

inattesi

aspettano nel gorgo nerastro dei porti

senza volto

col nome distorto.

 

Noi ormai siamo una razza increata di padri in declino,

dediti a incerte macchinazioni.

 

Città che non conosce radure

che non vela e non svela:

niente.

 

Disviene.

 

Ma tu in sogno mi dici “acqua e ombra”.

 

***

 

Fisso al timone

seguendo il suo astro nero

il colono bianco ha verdi occhi di ferro

e le viscere invase di schianto

 

nei vecchi porti d’Europa

la putredine nega l’approdo

ai distanti

 

tacciono

nel mare senza lucenze

le voci

sommerse dalle grida torve

dalle malessenze ubriache

degli accoliti bianchi.

 

***

 

Gli invisibili Amorfi

innalzano pareti di ferro e di fuoco

male dicono

senza ricordo

le voci inudite c’insorgono contro

fiamme di informi lamenti.

 

***

 

Oh mia città penombrale

incendiata di ardenti amarezze

nel tuo esistere invano –

in ossequio i tuoi scribi

ci rendono inesistenti non avvenuti.

 

***

 

Gli inamati

hanno stelle di poco lucore

 

ogni notte

accendono un fioco lume

d’attesa

 

cercano invano di scaldarsi l’un l’altro

in un angolo remoto

del vicolo scuro.

 

***

 

I bambini con occhi neri e ammagati

trascrivono gli annerati fonemi

dei libri usurati,

con pena ed inchiostro.

 

La fragorosa città fa silenzio.

Nelle strade

si abbuiano gli urlanti e versicolori fantasmi:

– Better with cake! Chorinol! Fune Groenten!

sugli schermi si accendono

fosforici spettri di volti

atone assenze di voci.

 

Lei inclina lo sguardo alla terra

si avvolge di tenebre bianche.

 

***

 

Più volte al giorno lavate le mani

saltate gli sputi

ignorate il fischio ruggente

nelle crepe dei muri

cementate le gallerie della tana

non date la mano

non date baci a nessuno

indossate la maschera nera

e soprattutto

non abbracciate i lebbrosi.

 

***

 

È impassibile e muto il cordoglio,

senza pianto negli occhi

senza un grido

scende la bianca scrittura

del rotolo nero

 

fuggi la simmetria

i troppo fitti ricami

sui corpi rescissi

dalle opache masse iniziali.

 

***

 

La terra scioglie i suoi manti di ghiaccio

il suo fuoco genitale raffredda,

bianchiscono i volti e le mani

 

l’energia che non crea e si perde

intorno all’asse

vortica a vuoto la ruota

semina invano scintille

nelle lande arse.

 

***

 

La tua parola sale dalla notte

senza schianto

né frangersi d’ore

 

nel vagone di freddo lucore

corre la folla degli occhi

abbagliati dal nero oltre il vetro

 

nel vuoto sbandare da tenebra a tenebra

ti afferri ai sostegni oscillanti

scruti i giornali con i crimini ultimi

 

tu

l’accecato con l’unico occhio

chi interroghi al di fuori del quadro?

la tua bocca è una curva di pena.

 

***

 

Un cerchio d’oro circonda

la tua aureola di tenebra

lo sguardo ignaro già scruta

l’incendio dell’ora

la cometa di ghiaccio

trascorrendo nel vuoto

il volo dell’angelo coprono

con manto di calcina.

 

***

 

L’attonito sta fermo

e fissa le sue vane carte

mentre il baro gli sfila dalla cinta

occhieggiando d’intesa col dio inverso

il funesto per lui asso di quadri.

 

***

 

Non madre

non rive non stelle

non vive

di speranze e ricordi

non ha tempo

né spazio

non ha aratro

né zolle

la sua logica inversa

la sua ala gelata

ha terrore

di toccare la terra

di sfiorare una mano

attende

la lungi mirante cometa

invasata di fuoco.

 

***

 

Anime oscure

si gettano in azzurri fossati

di vuoto cruento,

lei

con la mente nel cavo della mano

le osserva:

con la mano si coprono gli occhi

per non vedersi cadere

al corpo di un altro abbrancati –

verso l’alto inarcata la schiena.

 

***

 

Si trascinano in strada

gialle e stremate

le foglie umiliate

dal vento di traverso

 

verticali falesie

franano sul faro

l’oro degli aranci

nelle notti d’ardesia si spegne.

 

***

 

Guida il Re nero la peste cometa

che ruota sulla via dei pastori –

e girando più volte su se stesso

crede il bambino

in caso di mutare

il suo destino.

 

***

 

Nascono borragini azzurre

dai veleni nascosti

che le mani non possono cogliere

 

il capriolo prende coraggio

bruca le foglie

della nostra assenza

nel giardino in cui nessuno può entrare

tra i fiorami di incorporee presenze

 

Lei

per amore caduta

dai cancelli del cielo

oscurata

spande il soffio

delle sorelle di fuoco.

 

***

 

Emmaus IV

 

Irritornabile,

dividi il pane e la febbre coi figli

derisi da indovinelli crudeli

 

il rosamarino invernale

fiorisce azzurro forando

la nostra fredda pietra tenebrale

 

il tuo volto di calce s’inlumina

nell’indaco estremo

che precede la notte.

 

 

Note:

[1] Queste poesie costituiscono la seconda sezione di una raccolta, Trascorrendo.

***

NB: l’immagine è di Ruggero Savinio