“MOSTRATE I VOSTRI SCHERMI”. A proposito di musica, algoritmi e riappropriazione rivoluzionaria – di Andrea Luigi Mazzola
L’idea che l’arte rifletta le contraddizioni della società in quanto sistema complesso non è certo qualcosa di originale. Un’interpretazione radicale dell’idea hegeliana che vede l’arte come la «manifestazione sensibile di ciò che è supremo», e le «opere della bella arte come il primo anello di conciliazione tra ciò che è semplicemente esterno […] ed il puro pensiero»[1] ci obbliga dunque a riflettere sull’arte in quanto espressione sensibile delle interpretazioni astratte del mondo, le quali – tuttavia – in una prospettiva immanentistica sono nel mondo stesso e nell’atto della ragione che tenta di conoscerlo, in un continuo processo di reciproco adeguamento. Ciò significa, di conseguenza, che le categorie del sociale che facciamo rientrare nel senso comune, e che si manifestano con grande evidenza, meritano parimenti un approfondimento dal punto di vista estetico, per ricercarne la corrispondenza nella dimensione dell’arte. Nel capitalismo contemporaneo si assiste ad un doppio movimento contraddittorio: da un lato vi è un progressivo ed esasperante isolamento del singolo, che viene ricondotto sempre più alla sua natura di uno irrelato rispetto al contesto di mediazioni, dall’altro punto di vista, però, non si può negare una sempre più crescente spersonalizzazione dei processi produttivi, una sorta di scomparsa del soggetto nel processo di lavoro, in cui l’atto stesso del fare e del produrre, da sempre identificato come ciò che può dar senso all’essere individuale e sociale dell’uomo[2]. In questo doppio movimento diventa dirimente il rapporto tra l’uomo e il macchinario e, di conseguenza, tra l’uomo e la razionalità che il macchinario sottende. Il problema ovviamente è stato già ampiamente analizzato e sviscerato: la razionalità della macchina e l’implacabilità dei suoi ritmi si pongono in diretta competizione con i tempi del vivere umano, e con il suo stesso modo di pensare. Ciò ovviamente non può non influire su come ciò riverbera sul fare artistico e sull’arte stessa intesa come categoria sociale. Va da sé che il rapporto tra espressione estetica e contraddizione sociale non può essere qualcosa di statico, un qualcosa di dato, ma l’arte, pur con i suoi movimenti contraddittori, riesce a render conto delle concrezioni storiche del presente, di manifestarle al livello di spirito oggettivo e di rivelare al livello di parvenza ciò che appartiene all’essenzialità dell’essere sociale[3].
Da un punto di vista dell’apparire immediato – ma non per questo meno importante – si è potuto assistere, a partire soprattutto dalla seconda metà del Novecento, una progressiva ibridazione tra discorso estetico e discorso tecnologico: la razionalità della macchina, con le sue regole, i suoi movimenti precisi e, con questi, le nuove possibilità che era capace di offrire, inizia a mescolarsi con il discorso artistico, in un processo di lungo corso che, potremmo dire, affonda le sue radici nella stessa storia del pensiero occidentale. Il compositore Iannis Xenakis (1922-2001), uno dei più importanti esponenti della musica contemporanea post-seriale, che ha aperto le regole compositive alle regole matematiche delle probabilità, afferma:
«There exists a historical parallel between European music and the successive attemps the world by reason. The music of antiquity, casual and deterministic, was already strongly influenced by the schools of Pythagoras and Plato. […] Strict causality lasted until the nineteenth century when it underwent a brutal and fertile transformation as a result of statistical theories in physics»[4].
È lo stesso pensiero occidentale, dunque, che dipanandosi a partire dalla fondamentale scoperta del principio di causalità, porta in sé la legge interna del suo sviluppo, che porterà poi, quasi naturalmente, al macchinario e, quindi, alla relazione dialettica sempre più stretta tra strumento, ragione e prodotti umani (tra i quali, ovviamente, facciamo rientrare le arti). A differenza dell’analisi condotta, ad esempio, da Adorno qui non si vuole dare un giudizio di valore sulla crescente meccanizzazione del sapere e della produzione artistica: il principio di causalità – radice del carattere utilitaristico della razionalità occidentale[5] – viene qui inteso come un dato di fatto, alla luce del quale possiamo analizzare le forme artistiche più recenti della nostra contemporaneità. Considerarlo alla stregua di qualcosa di dato, tuttavia, non significa affatto ricadere nel quietismo dell’analisi imparziale. Si tratta semmai di vedere quali siano i significati insiti nelle espressioni artistiche all’interno del mondo tecnico e meccanizzato, lasciando che sia il significato stesso di queste opere a fornirci il corretto framework per l’interpretazione generale, e non il contrario.
Lo strumento, la macchina, che più di tutti incarna la natura logico-formale del pensiero occidentale, che manifesta in forma sensibile la natura astratta del principio di causalità e delle sue implicazioni logiche, è proprio il calcolatore, il computer. In quanto macchina calcolatrice il computer incarna massimamente i principi logici fondamentali del nostro pensiero: la stessa natura del bit, il fatto cioè di poter assumere soltanto due valori, zero e uno, ci riconduce ad una logica in cui valori di verità siano, appunto, il vero e il falso. Non stupisce, dunque, che il computer possa essere considerato come la concrezione oggettiva delle categorie logiche del pensiero astratto logico-formale, sulla base del quale, ripetiamo, si è reso possibile tutto lo sviluppo tecnico dell’occidente. Ciò è massimamente interessante, dunque, quando proprio a partire dalle possibilità di calcolo del computer si inizia a ripensare la possibilità stessa dell’arte, sia in quanto processo creativo che in quanto performance. La musica d’avanguardia del Novecento ha raccolto quest’eredità tentando di liberare le costrizioni legate alla pratica musicale tradizionale, liberando il timbro, il pitch e la natura stessa del materiale musicale attraverso l’utilizzo di strumenti nuovi, come il nastro magnetico e il sintetizzatore, che permettevano, a partire da semplici forme d’onda, di creare timbri completamente nuovi, liberando la musica dalle costrizioni fisiche dello strumento[6]. Ma il rapporto tra musica e tecnica è ancora più profondo se considerato dal punto di vista del rapporto dello stesso processo compositivo e le strutture logiche del pensiero. Il rapporto tra musica e strutture logiche è, ovviamente, antico. Se ne trovano tracce fin dalla stesura del Micrologus (circa 1026) di Guido D’Arezzo, l’ideatore della notazione musicale moderna , in cui vengono enumerate le prime regole per la composizione di brani polifonici, passando per le strutture matematiche dell’Arte della fuga di J.S. Bach e i Musikalisches Würfelspiel di Wolfgang Amadeus Mozart (o di qualcuno che ha deciso di utilizzare il suo nome), un vero e proprio esempio di rudimentale composizione algoritmica basata sulla combinazione di temi musicali determinati dal lancio di dadi[7]. A partire poi dalla dodecafonia di Schönberg, passando per le estensioni del serialismo da parte di Messiaen, che estende il concetto di serie a tutti i parametri musicali, fino all’introduzione delle leggi probabilistiche nella composizione musicale da parte di Iannis Xenakis, il quale ha contribuito a fondare a Parigi l’Équipe de Mathématique et d’Automatique Musicales, il rapporto tra leggi matematiche, razionalità del pensiero scientifico e composizione musicale si è fatto così stretto fino a sovrapporsi. Uno dei risultati teorieticamente ed esteticamente più interessanti di questa commistione è rappresentato dalla ILLIAC Suite, una composizione del 1957 “composta”, appunto, dal computer ILLIAC dell’Università dell’Illinois, programmato da Lejaren Hiller e Leonard Isaacson[8]. ILLIAC suite rappresenta probabilmente un punto di non ritorno in quanto sembra che il compositore stesso sparisca nello stesso processo compositivo: il compositore – che si sovrappone alla figura del programmatore – si limita a dare le istruzioni al calcolatore affinché esso possa effettivamente generare una composizione musicale. L’apparente processo di spersonalizzazione dell’atto compositivo – che sembra essere uno dei tratti più appariscenti di tutte quelle composizioni musicali denominate, appunto, algoritmiche[9] – si ritrova anche in prodotti musicali maggiormente destinati al mercato di consumo, come ad esempio il disco Music for Airports (1978) di Brian Eno, costruito interamente su processi generativi[10]. A questo punto del discorso, tuttavia, sembra quasi non esserci alcun dubbio sul progressivo processo di spersonalizzazione del soggetto nel processo creativo e nell’atto compositivo: sembra quasi voler dare ragione ad Adorno. Per il filosofo francofortese questo processo di perdita dell’umano veniva espresso nei termini di un estraneazione dell’uomo nei confronti di se stesso, completamente smarrito nei meandri dello spirito reificato[11], dominato da uno pensiero matematizzante che aveva spogliato l’uomo di ogni agentività, e l’aveva fatto ripiombare nella superstizione e nel mito.
Trattare la questione soltanto da questo punto di vista sarebbe tuttavia estremamente parziale e non terrebbe conto di alcuni aspetti molto interessanti in relazione ai rapporti tra la soggettività dell’uomo-artista e le strutture logico-formali del pensiero. Le notazioni algoritmiche, che spesso e volentieri si esprimono sotto la forma di linguaggi di programmazione[12], entrano in un rapporto dialettico con l’esecutore-compositore nella pratica del live coding. Il live coding, come si evince dallo stesso nome, è la pratica di scrivere codice finalizzato alla produzione musicale, modificandolo on-the-fly, improvvisando (sia da soli che in collaborazione con altri performer): il processo di creazione di codice è importante tanto quanto il prodotto musicale, tanto che è prassi proiettare alle spalle del performer quanto viene scritto ed eseguito sul laptop[13]. A rimarcare l’importanza del processo, che diviene predominante rispetto alla composizione in sé, è la possibilità di performance collettive e collaborative[14]. Viene quasi automatico fare un parallelismo tra la performance algorave (cioè la musica elettronica live basata su algoritmi e sulla modifica in tempo reale degli stessi) e la natura collaborativa del software libero dell’open source. Se da un punto di vista estetico le differenze sono evidenti si può affermare che in entrambi i casi è il soggetto agente ad avere un ruolo di primato logico e gnoseologico. La condivisione del codice, nel software libero, ha la finalità di migliorare la conoscenza, l’aiuto reciproco, di sviluppare una consapevolezza maggiore nei confronti di quei mezzi tecnici che tornano, appunto, ad essere strumenti di sapere condiviso, e non più oggetti (e saperi) feticisticamente assunti come dati. Il fine ultimo è la libertà dell’utente[15]. Ritieniamo che lo stesso spirito e lo stesso afflato, nonché gli stessi nodi concettuali trasposti sul piano della performance artistica, si ritrovino nel documento più emblematico di tutto il movimento algorave, cioè il Manifesto TOPLAP[16]. Fin dal preambolo è chiara l’enfatizzazione del performer e, di conseguenza, della sua attività produttiva di opere musicali fruibili dal pubblico: «il vero protagonista della performance è l’algoritmo solo in quanto modificato e plasmato al soggetto agente: chiediamo che il codice permetta al pubblico di vedere la mente, il processo e le interpretazioni del/la livecoder, non solo il suo corpo; ci venga dato l’accesso alla mente del performer, all’intero strumento umano»[17]. L’accento sull’importanza del performer (d’altronde solo in una comunità di soggetti agenti è possibile immaginare una completa apertura a pratiche collaborative) si unisce alla necessità di condividere le conoscenze e le strutture mentali del compositore: il processo, per essere vero, deve essere assolutamente trasparente: «l’oscurantismo è pericoloso: MOSTRATE I VOSTRI SCHERMI»[18]. Si tratta, in paratica, della necessità di riappropriarsi consapevolmente del mezzo tecnico, del suo potenziale emancipativo ed utopico (una comunità che usa consapevolmente i mezzi e gli strumenti è una comunità che, appunto, li possiede: cade la divisione tra detentori dei mezzi – di produzione – e coloro che sono costretti ad usarli). Il processo di alienazione dell’uomo da se stesso, di cui parlava Adorno, è possibile soltanto nel caso in cui lo strumento tecnico (e di conseguenza il pensiero matematizzante che lo rende possibile) venga feticizzato in qualcosa di oscuro, di “magico”. Spezzare via l’oscurantismo della tecnica, riconoscerla nel suo potere liberatorio significa parimenti riappropriarsi anche del lato cognitivo del mezzo, per piegarlo – come nella pratica del live coding – alle esigenze di un singolo in continuo dialogo creativo con la comunità[19]. Le esperienze più interessanti della musica elettronica contemporanea sono tutte attraversate da questa consapevolezza dell’importanza della riappropriazione dello strumento e, parimenti, della trasparenza nel suo uso. In una conversazione privata con Fabio Bortolotti, in arte Kenobit[20], noto esponente del movimento chiptune[21], è emerso come l’elemento più importante della sua performance è costituito dal fatto che tutta la musica viene composta, suonata ed eseguita su un Game Boy, in un processo di assoluta trasparenza nei confronti del pubblico: la riappropriazione e la socializzazione del mezzo tecnico strappato dalle logiche di mercato si manifesta, dunque, nella performance artistica. Non è un caso, tra l’altro, che proprio Fabio Bortolotti/Kenobit si sia impegnato nella fondazione del social-network LivelloSegreto[22], basato sul software libero Mastodon[23], nel tentativo di permettere anche a livello di comunità – oramai inseparabile dai luoghi di interazione digitale – un’emancipazione dalla feticizzazione del rapporto dei soggetti con la dimensione sociale del mezzo tecnico (il social-network) e, di conseguenza, dei soggetti tra loro.
Ciò che rende possibile questi movimenti, che si configurano come laboratori permanenti di sperimentazione ed emancipazione sociale, è la rivendicazione dell’appropriazione consapevole e rivoluzionaria proprio di quel sapere tecnico tanto inviso dai pensatori di Francoforte che, se sottratto alle logiche del dominio capitalistico, può porsi come elemento chiave del processo di emancipazione sociale : si tratta, infatti, di ricondurre le macchine alla loro natura di strumento[24]. L’utilizzo simultaneo di strumenti, la messa in comunione di pratiche performative e conoscenze, si configura così come figura estetica di una riappropriazione di performance sociali alienate: laddove gli strumenti sono in mano al grande capitale si deve dunque lavorare per sottrarli al suo dominio, per de-mistificare il loro carattere feticistico di oggetto magico, e ricondurli alla loro natura di termine di mediazione tra l’attività umana e il raggiungimento di un fine. Se l’algoritmo, in quanto serie impersonale di istruzioni date a un computer, sembrava la negazione stessa del ruolo del soggetto nelle dinamiche sociali, una sua abdicazione al dominio del pensiero matematizzante, adesso emerge invece il potere emancipatorio di quel pensiero, il suo carattere di disvelamento dell’oscurantismo e degli occultamenti feticistici delle merci tecnologiche, in un processo che unisce condivisione di conoscenze, sperimentazione e pratiche creative comunitarie. Il carattere creativo dell’algorave, che quasi si pone come espressione estetica di tutte le pratiche comunitarie del movimento del software libero e dell’attivismo hacking[25], può dunque essere considerato allo stesso modo come un punto di arrivo di un lungo percorso di emancipazione dal processo di feticizzazione della tecnica e un laboratorio permanente di culture, arti e performance. Il modo migliore per disfarsi di ogni feticismo tecnologico, di ogni manifestazione magica delle merci gettate sul mercato da un capitalismo sempre più feroce, di ogni alienazione che si manifesta nel rapporto rovesciato tra uomo e mezzo, e tra uomo e uomo, resta sempre l’azione pratica, intesa come agire condiviso, come prassi creativa.
Note:
[1] G.W.F. Hegel, Estetica, a cura di N. Merker, Milano 1978, pp. 13-14.
[2] Tesi condivisa, oltre che dalla classica visione della teoria marxista, anche dall’antropologo contemporaneo David Graeber, che definisce il non aver nulla di utile da fare come estremamente odioso, tanto che smentisce vigorosamente la tesi secondo cui «if humas are offered the option to be parasites, of course they’ll take it», ribadendo che «human beings certainly tend to rankle over what they consider excessive or degrading work; few may be inclined to work at the pace or intensity that “scientific managers” have, since the 1920s, decided they should; people also have a particular aversion to being humiliate. But leave them to their own devices, and they almost ivariably rankle even more at the prospect of having nothing useful to do”. (Cfr. D. Graeber, Bullshit Jobs: a theory, Chapter 3, part 1, Simon & Schuster, New York 2018).
[3] «[…] la parvenza stessa è essenziale all’essenza; la verità non sarebbe, se non paresse ed apparisse, se non fosse per qualcosa, per se stessa tanto quanto per lo spirito in generale. […] Solo oltre l’immediatezza del sentire e degli oggetti esterni va cercata l’autentica realtà. Infatti, veramente reale è solo ciò che è in sé e per sé, il sostanziale della natura e dello spirito che dà a sé sì presenza ed esistenza, ma in questa esistenza rimane ciò che è in sé e per sé, e così soltanto è veramente reale. L’arte mette in rilievo e fa apparire proprio il governo di queste potenze universali» (G.W.F. Hegel, Estetica, ed. cit., pp. 14-15)
[4] I. Xenakis, Formalized Music – Thought and mathematics in composition, Pendragon Press, Stuyvesant NY 1992, pp. 3-4.
[5] «L’uomo si rapporta praticamente alla natura, come qualcosa di immediato ed esterno e con ciò stesso sensibile, che quindi a buon diritto anche si comporta come fine rispetto agli oggetti della natura. La considerazione degli oggetti della natura secondo questo rapporto dà luogo al punto di vista teleologico finito». Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio: Filosofia della natura, a cura di V. Verra, UTET, Torino 2002, p. 79.
[6] «The composer, in view of the fact that he is no longer operating within a strictly ordained tonal system finds himself confronting a completely new situation. He sees himself commanding a realm of sound in which the musical material appears for the first time as a malleable continuum of every known and unknown, every conceivable and possible sound. This demands a way of thinking in new dimensions, a kind of mental adjustment to the thinking proper to the materials of electronic sound». Cfr. K.H. Wörner, Stockhausen: Life and Work, University of California Press, Berkeley CA 1976, p. 123.
[7] Cfr. M. Simoni, R. B. Dannenberg, Algorithmic composition, The University of Mitchigan Press, Ann Arbor 2008, pp. 7-10.
[8] Ibid., p. 13.
[9] «Taken together […] the words “algorithmic music”, defined by the urge to explore and/or extend musical thinking through formalized abstractions. In the process of making music as (or if you prefer, via) algorithms, we express music through formal systems of notation, taking a view of music as the higher order interplay of ideas» Cfr. Aa. Vv. The Oxford Handbook of Algorithmic Music, ed. by R.T. Dean and A. McLean, Oxford University Press, NY 2018, pp. 5-6.
[10] «The defining factor of generative music is that there is no way for any factor outside of the music system (software) to interact with or influence the algorithms and processes determining the end musical result. The software may include methods of random (or nonrandom) initialization of the sound banks, sequences, or other such musical factors, and there fore introduce the variety which defines algorithmic music, but beyond that, the listener is completely noninteractive with the system, other than that they possibly start or stop the software» Cfr. Y. Levtov, Algorithmic Music for Mass Consumption and Universal Production, in Oxford Handbook of Algorithmic Music, ed. cit., p. 628.
[11] «Identificando in anticipo il mondo matematizzato fino in fondo con la verità, l’illuminismo si crede al sicuro dal ritorno del mito. Esso identifica il pensiero con la matematica. Essa viene, per così dire, emancipata, elevata ad istanza assoluta. […] L’estraneazione degli uomini dagli oggetti dominati non è il solo prezzo pagato peri il dominio: con la reificazione dello spirito sono stati stregati anche i rapporti interni fra gli uomini, anche quelli di ognuno con se stesso». Cfr. M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, trad. R. Solmi, Einaudi, Torino 2010, pp. 32-36.
[12] Si può trattare sia di veri e propri linguaggi di programmazione dedicati esclusivamente alla composizione musicale come Csound, ChucK, SuperCollider, oppure di linguaggi di programmazione già esistenti utilizzati ai fini della composizione. Alcuni di questi sono utilizzati anche nella didattica (sia della teoria musicale che dell’informatica), come SonicPi. (cfr. https://sonic-pi.net/)
[13] «Given the prominence of code projection and other forms of algorithmic visualization during live coding performance – enabling audiences to form, at least to some degree, an appreciation of the music with reference to the processes by which it is being generated – it is reasonable to assume that means of generation are integral to the aesthetic values of live coded musical performance» Cfr. G.A. Wiggins and J. Forth, Computational Creativity and Live Algorithms, in Oxford Handbook of Algorithmic Music, ed. cit., p. 270.
[14] «[…] in the case of collaborative live coding, code sharing is an important part of the communication, understanding each other’s thoughts, and exchanging ideas. Most of the times, the collaboration in this live coding practice occurs in real time, due to its live nature and asynchronous communication being limited». Cfr. S.W. Lee, G. Essl, Live Writing: Asynchronous Playback of Live Coding and Writing, p. 74 in A. McLean, T. Magnusson, K. Ng, S. Knotts, J. Armitage (ed.), Proceedings of the First Internatinoal Conference on Live Coding (Leeds UK, 13-15th July 2015), published by ICSRiM, School of Music, University of Leeds, 2015..
[15] «Un programma è software libero se gli utenti del programma godono delle quattro libertà fondamentali:
Libertà di eseguire il programma come si desidera, per qualsiasi scopo (libertà 0).
Libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle proprie necessità (libertà 1). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare gli altri (libertà 2).
Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti da voi apportati (e le vostre versioni modificate in genere), in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
Un programma è software libero se l’utente ha tutte queste libertà in modo adeguato. Altrimenti diciamo che è non libero. I modelli di distribuzione non liberi si possono differenziare a seconda di quanto si distanziano dall’essere liberi, ma per noi sono tutti non etici allo stesso modo». Cfr. (https://www.gnu.org/philosophy/free-sw.html#four-freedoms)
[16] TOPLAP è il nome dell’organizzazione informale costituitasi nel febbraio 2004 allo scopo di riunire le diverse comunità che si dedicavano alla pratica del live coding.
[17] Cfr. la traduzione italiana del manifesto, consultabile all’indirizzo https://toplapitalia.gitlab.io/manifesto.html
[18] Ivi.
[19] «L’uso di dispositivi digitali dà quindi vita a una nuova forma di compresenza e interazione mediatica. […] [G]li improvvisatori sono esseri umani che interagiscono tra loro e con la situazione specifica, prendendo decisioni creative durante l’esecuzione, cosicché la qualità estetica della loro opera emerge attraverso questa interazione». Cfr. A. Bertinetto, Estetica dell’improvvisazione, il Mulino, Bologna 2021, p. 107.
[20] Cfr. http://www.kenobit.it/about/
[21] Si tratta di un movimento di musica elettronica scritta per formati sonori in cui tutti i suoni sono sintetizzati in tempo reale dal chip sonoro di un computer o di una console. Si tratta di un fenomeno musicale strettamente legato al mondo del retrogaming.
[22] Cfr. https://livellosegreto.it/
[23] Cfr. https://joinmastodon.org/
[24] «La macchina non si presenta sotto nessun rispetto come mezzo di lavoro dell’operaio singolo. La sua differentia specifica non è affatto, come nel mezzo di lavoro, quella di mediare l’attività dell’operaio nei confronti dell’oggetto; ma anzi questa attività è posta ora in modo che è essa a mediare soltanto ormai il lavoro della macchina, la sua azione sulla materia prima – a sorvegliare questa azione e ad evitarne le interruzioni. A differenza quindi dallo strumento, che l’operaio anima – come un organo – della propria abilità e attività, e il cui maneggio dipende perciò dalla sua virtuosità». Cfr. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica 1857-1858 vol. II, trad. E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze 1970, pp. 390. Non è un caso, riteniamo, che anche nel manifesto TOPLAP si sottolinei la virtuosità e l’abilità del performer durante l’utilizzo dello strumento: «accettiamo che […] il live coding possa essere accompagnato da un’impressionante dimostrazione di destrezza manuale [corsivo mio] e dalla glorificazione dell’interfaccia testuale». Cfr. https://toplapitalia.gitlab.io/manifesto.html/.
[25] Come espressione comunitaria di questo movimento è doveroso citare l’Hackmeeting, incontro che si svolge regolarmente in Italia, Spagna, Bolivia, Santiago de Chile e Messico, finalizzato alla diffusione e all’approfondimento della cultura del software libero.