In occasione del centenario di “Storia e Coscienza di Classe”: la dialettica di natura e società tra György Lukács e Alfred Schmidt (seconda parte) – di Francesco Bugli

In occasione del centenario di “Storia e Coscienza di Classe”: la dialettica di natura e società tra György Lukács e Alfred Schmidt (seconda parte) – di Francesco Bugli

26 Dicembre 2023 Off di admin

La prima parte si può trovare qui.

 

3. Alfred Schmidt: Il concetto di natura in Marx, la dialettica tra natura e società al di là dell’ontologia?

Alfred Schmidt scrive Il concetto di natura in Marx come tesi dottorale sotto la guida di Horkeimer e Adorno. Ultimato nel 1960, il testo uscirà nella traduzione italiana per la casa editrice Laterza nel 1969 con la prefazione di Lucio Colletti[1]. Come lo stesso Schmidt scrive fin dall’introduzione, il perno intorno a cui ruota il testo è la peculiare considerazione della natura nell’opera di Marx, dove la natura è considerata come un prius: come primigenia sorgente dei valori d’uso che sta in rapporto con l’attività, con la praxis degli uomini. E dove «gli enunciati sulla natura vuoi di tipo gnoseologico, vuoi attinenti alle scienze naturali, presuppongono […] la totalità dei modi d’appropriazione economico-tecnologica degli uomini, la prassi sociale»[2]. Se è vero che la conoscenza della natura è sempre mediata dalla prassi sociale, al contempo «il processo vitale degli uomini, anche se compreso e dominato, resta una connessione naturale»[3]. La dialettica tra soggetto e oggetto nel processo di mediazione sociale rimane ancorata alla natura, che è filtrata socialmente, ed attiene alla centrale categoria marxiana del ricambio organico tra uomo e natura. L’opera di Schmidt prende le mosse da un’attenta ricostruzione dell’iter intellettuale marxiano, dai manoscritti giovanili al Capitale passando per i Grundrisse. L’attenzione è sempre posta sulla differenza rispetto alla concezione engelsiana della natura e, come vedremo, questa valutazione tiene conto di alcuni importanti motivi sviluppati dal Lukács di SCC.

L’elaborazione marxiana del concetto di natura prende le mosse dalla ben nota critica di Hegel, mediata attraverso l’opera di Ludwig Feuerbach, dove la natura viene considerata come causa sui, e non come un momento di sviluppo dello spirito coincidente con il suo alienarsi nella natura: un momento dopo il quale esso è destinato a ritornare presso sé. La torsione feuerbachiana pone lo spirito non come un soggetto assoluto ma come una qualità umana, naturale, accanto alle altre proprie di un soggetto incarnato (dell’uomo come ente generico). Le categorie hegeliane sono spiegate da Feuerbach come categorie logiche legate alle funzioni degli uomini finiti, dove non è lo spirito ad essere il punto di partenza ma gli uomini nelle loro funzioni fisiologiche e sensibili. Il salto in avanti di Marx rispetto a Feuerbach attiene per Schmidt alla considerazione del momento della conoscenza come momento costituito non solo dall’intuizione sensibile bensì dall’intera prassi umana, benché la natura stessa non si risolva nei modi dell’appropriazione umana né sia da Marx concepita come «realtà extra umana nel senso di una oggettività immediata e dunque ontologicamente»[4]. Non si tratta cioè di concepire il soggetto – in modo meramente contemplativo, come nel caso di Feuerbach – come ente naturale e generico, umano, posto immediatamente di fronte ad un oggetto: la natura. Si tratta piuttosto di concepire come la natura sia per Marx «un momento della prassi umana e al tempo stesso la totalità di ciò che esiste»[5]. L’obiettivo di Schmidt è quello di mettere in luce come per Marx non si dia una natura pura, fuori dalla prassi umana, ma come essa sia mediata socialmente pur non perdendo il suo prius, e come la saldatura tra soggetto e oggetto stia nel «“produrre”: il produttore di un mondo oggettivo – scrive Schmidt – è il processo storico-sociale della vita degli uomini»[6]. Un posto centrale è dato alla mediatezza di ogni immediato, mantenendo salda la non identità tra soggetto e oggetto come parti della natura, andando oltre «il carattere ontologico-astratto mettendo in rapporto la natura ed ogni coscienza della natura con il processo vitale della società»[7].

Il punto centrale è qui la negazione di una sostanza che sia sganciata dalla sua determinazione concreta. Per Marx il mondo sensibile non è dato nella sua immediatezza, ma è sempre «mediato socialmente, è pur sempre un mondo naturale e come tale precede storicamente qualsiasi società umana»[8]. Ma la materia naturale non può essere un principio ontologico, un principio supremo dell’essere dato che «gli uomini, anzi, nella loro produzione non hanno mai a che fare con la materia in quanto tale, bensì sempre soltanto con i suoi concreti modi d’esistenza, determinati quantitativamente e qualitativamente»[9]. Non c’è universale della materia come principio astratto e ontologico ma solo una sua mediazione concreta da parte della prassi degli uomini. La negazione dell’ontologia è un punto centrale della lettura schmidtiana, che va a problematizzare la concezione di Engels e la sua volgarizzazione ad opera del diamat (materialismo dialettico) di marca sovietica. Tuttavia, lo stesso Schmidt tiene a tracciare dei distinguo che valgono la pena d’esser rimarcati, ovvero è da tenere in considerazione che lo stesso Engels quando parla della materia lo fa sempre tenendo conto che la materia in sé è un’astrazione, e noi conosciamo solo la sua dimensione concreta. Noi conosciamo la materia e il movimento solo attraverso lo studio concreto dei singoli momenti. La materia, cioè, non è «sostanza “portatrice” di accidenti secondari, […]  non è un principio di spiegazione del mondo»; e non lo è in primo luogo secondo lo stesso Engels, né nell’Anti-Dühring né nella Dialettica della natura[10] Schmidt, come del resto il Lukács di SCC, non vuole rigettare il materialismo dialettico in sé, ma risignificarlo su una base non-ontologica[11]. Schmidt pone in relazione il tentativo dei filosofi sovietici di smarcarsi da un materialismo dialettico fondato su una base ontologica con l’impossibilità di derivare una tale concezione se il principio individuato è quello della materia: tale presupposto non può che condurre, infatti, un esito ontologico e metafisico; solo «se con Marx si riconosce la realtà materiale come già mediata socialmente, si può evitare l’ontologia e si può dare veramente ragione dell’affermazione engelsiana che la materia in quanto tale è un’astrazione»[12].

A questo punto Schmidt sottolinea come nella concezione marxiana non sia presente un’idea teleologica rispetto alla storia, e come solo a partire da questo elemento sia possibile riformulare un materialismo dialettico non fondato sull’idea che la realtà sia sorretta da un principio unico. Qui si richiama Hegel e il suo punto di vista teleologico finito, dove vigono «scopi finiti di uomini finiti, condizionati nel tempo e nello spazio, di fronte ad ambiti determinati del mondo naturale e sociale»[13]. Come abbiamo visto anche per il Lukács dell’Ontologia dell’essere sociale la categoria dell’atto teleologico sarà centrale, in relazione alla prassi degli uomini, come atto posto dall’intenzionalità umana e differente rispetto alla causalità attinente al mondo naturale. Schmidt pone l’accento sul fatto che il materialismo marxiano non sia una lettura economicistica della società, quanto piuttosto una critica ad «un iniquo primato dell’economia, di questa astrazione nemica dell’uomo»[14]. Come sottotitola il Capitale stesso, il materialismo marxiano si configura come una critica dell’economia politica, perché in questa particolare configurazione dei rapporti sociali «il dominio sulla natura, se ingiustamente organizzato sul piano sociale, per quanto possa essere grande il suo sviluppo, mantiene gli uomini in balia della natura»[15]. Questa natura però non è la prima natura di Hegel, ossia un «cieco accadere, privo di concetto», ma una “seconda natura”: quella che Hegel voleva legata allo spirito oggettivo, ovvero a Stato, diritto, società ed economia[16]. La critica di Marx ci dice che questa “seconda natura” deve essere piuttosto pensata secondo i criteri che Hegel applicava alla prima, ovvero causalità e necessità: intesi, questi, non come dati naturali ma come prodotti sociali. Marx è convito che all’interno dei rapporti sociali capitalistici si riproduca quella ferrea necessità che Hegel riscontrava nella “prima natura”. E ciò in virtù del rapporto sociale che si presenta come una cosa, e che, come tale, soggioga gli individui alla base di tale rapporto. Si tratta di una inversione feticistica della logica tra soggetto e predicato.

La storia sociale e la storia naturale sono da Marx poste in relazione, in una celebre nota del Capitale dove si paragona la funzione della “tecnologia naturale” studiata da Darwin con la storia critica degli “organi produttivi dell’uomo sociale”: critica che è possibile realizzare solo a partire dallo studio dell’attuale formazione economico-sociale[17]. Partendo dal ragionamento marxiano, Schmidt vuole porre l’accento sul fatto che «la storia naturale e la storia umana costituiscono per Marx un’unità nella diversità, […] egli non risolve la storia umana in pura storia naturale né la storia naturale in storia umana»[18]. Un elemento di grande interesse nella lettura di Schmidt è la sottolineatura di come sia possibile conoscere il passato solo alla luce del presente, secondo l’adagio marxiano per il quale «l’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia»[19]. La storia naturale è possibile «soltanto se si presuppone la storia umana fatta da soggetti coscienti, […] essa ne è il prolungamento all’indietro e viene conosciuta dagli uomini come natura non più accessibile per mezzo delle stesse categorie sociali»[20]. Inoltre, a partire da Darwin è possibile comprendere come «siano straordinariamente cariche di presupposti tutte le affermazioni sulla natura e la sua storia», visto che nel descrivere la natura egli stesso utilizza metafore sociali attraverso i filtri dell’economia politica – in particolare delle opere di Malthus – per spiegare alcuni meccanismi adattivi delle “popolazioni” di animali e piante[21]. Dal punto di vista epistemologico Schmidt si pone in discontinuità rispetto a Dilthey e lo storicismo tedesco, ed è bene ricordare che questi autori influenzarono profondamente il Lukács di SCC. Per Dilthey si danno infatti due metodi d’indagine separati per le scienze storiche e quelle naturali: la “spiegazione” (Erlklären) attiene alle scienze naturali e alla causalità, mentre la storia si basa sulla “comprensione” (Versthen). Seguendo alcune affermazioni giovanili di Marx, Schmidt auspica un unico metodo per le scienze della natura e della storia, indicando la prassi come «l’anello di congiunzione sempre più saldo tra due campi che appaiono separati», ovvero quelli della storia e della natura[22].

Tornando alla valutazione del pensiero di Engels, Schmidt tiene a rimarcare come gli esiti della riflessione engelsiana attinente al rapporto tra natura e storia ricadano in una «metafisica dogmatica»[23]: una metafisica che applica arbitrariamente categorie logiche di derivazione hegeliana, dove «la dialettica engelsiana della natura resta […] necessariamente un tipo di considerazione estraneo all’oggetto». E questo – continua Schmidt – «è particolarmente evidente quando Engels, per esempio, “applica” categorie hegeliane al concetto biologico di cellula, senza preoccuparsi minimamente dei loro presupposti idealistici»[24]. Ci pare interessante allora accostare questa critica di Schmidt ad Engels a quella che Lukács svolgerà dell’Ontologia dell’essere sociale, dove viene imputata ad Engels proprio una logicizzazione dell’essere attraverso un’arbitraria applicazione di categorie che non gli sono proprie, e che non sono derivate dalle realtà stessa ma ad essa vengono – per così dire – “applicate” esternamente.

Nell’Anti-Dühring Engels formula alcune tesi chiave: materialità del mondo, forme fondamentali dell’essere materiale individuate nello spazio e nel tempo, la materia ha come solo modo d’essere quello del movimento. Le forme superiori dell’essere materiale sono derivate da quelle inferiori, ma le prime non possono però essere ridotte alle seconde; le forme del movimento sono qualitativamente diverse tra loro, ma sono manifestazioni dell’essere materiale, dove la dialettica gioca un ruolo centrale nello spiegare allo stesso tempo la natura e la società umana. Nell’altra opera di Engels, Dialettica della natura (per altro postuma e incompiuta), vengono individuate tre leggi dialettiche fondamentali che attingono alla materia: rovesciamento della quantità in qualità, compenetrazione degli opposti, legge della negazione della negazione. A differenza degli epigoni sovietici e del loro materialismo dialettico, in Engels – per Schmidt – non è presente una prescrizione «agli scienziati della dialettica come metodo diretto d’indagine»[25]. Piuttosto – continua Schmidt – «egli aveva in mente un’elaborazione enciclopedica delle moderne scienze della natura», sul modello degli enciclopedisti francesi e di Hegel[26]. Il punto secondo Schmidt è che, diversamente da quello utilizzato da Engels, il metodo adottato da Marx si basa sulla differenza tra il metodo d’indagine e quello d’esposizione[27]: nell’indagine vengono fatti propri i risultati delle scienze particolari (tra cui quelle naturali) e nell’esposizione sono sintetizzati ed esposti logicamente; mentre nell’indagine sul mondo naturale senza mediazione storica «la natura svincolata da ogni prassi umana, resta in ultima analisi estranea alla natura medesima»[28]. Schmidt rimprovera ad Engels tanto un mancato riconoscimento dell’intreccio tra uomo e natura attraverso la prassi storica, e quanto un’idea di antropologia legata ad uno sviluppo naturalistico in cui manca il riconoscimento del ruolo mediatore della prassi: dove natura e storia sono saldamente intrecciate tra loro, per Engels invece diventano «due diversi “campi d’applicazione” del metodo dialettico materialista»[29]. E «i momenti della dialettica vengono svincolati dai contenuti storici concreti e ipostatizzati nelle “tre leggi fondamentali”. […] La dialettica diventa così […] una concezione dell’universo, un principio positivo del mondo»[30].

La derivazione engelsiana del materialismo dialettico parte dalla materia e dal suo movimento, immaginandoli però separati dalla prassi umana che sola, secondo Schmidt, pone le basi per la conoscenza della natura. È questo è il presupposto per una dialettica puramente oggettiva, dove manca quell’elemento fondamentale che permette la conoscenza della materia stessa ovvero la prassi umana. La dialettica engelsiana, seguendo il  Lukács di SCC, qui esplicitamente richiamato da  Schmidt[31], attinente alla natura e non ha a che fare con la dialettica che attiene alla mediazione sociale della natura ma è meccanicistica e oggettivistica, e non c’entra con l’elaborazione dialettica di Marx, al quale Engels cerca d’integrare un elemento di dialettica oggettiva di cui però Marx non ha bisogno, in quanto in egli a sua volta elabora “una dialettica della natura” ma come mediazione di natura e società, dove non si dà la prima senza la seconda.  Per la dialettica immaginata da Marx l’uomo è un ente naturale attivo che produce attraverso il lavoro e «la natura […]  è il soggetto-oggetto del lavoro: […] la sua dialettica consiste in questo, che gli uomini mutano la loro natura col sottrarre alla natura esterna la sua estraneità […], mediandola con sé stessi, indirizzandola verso i loro scopi»[32].

A questo punto Schmidt vuole mettere in luce che il concetto di materia, così come viene concepito da Lenin e da Engels, non è scosso dalle scoperte della fisica quantistica del primo Novecento e dalla loro messa in discussione della meccanica classica. Infatti, secondo il materialismo dialettico elaborato da Schmidt (in senso non dogmatico né ontologico), la materia non è definita filosoficamente una volta per tutte: questo è il compito della scienza all’interno dello sviluppo delle forze produttive e della complessità dell’evoluzione dei rapporti sociali di produzione. La scienza ci dice cioè che la materia come tale esiste fuori di noi e da noi viene appropriata socialmente all’interno del ricambio organico tra uomo e natura. L’essere umano si oggettiva nel lavoro, ma non è lui a porre l’oggettività naturale: lo ha evidenziato lo stesso Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e anche il Lukács autocritico rispetto a SCC. Schmidt vuole sottolineare come per Marx «il lavoro […] è solo espressione di una forza naturale, presuppone sempre un sostrato che non si risolve in lavoro»[33]. Questo sostrato naturale è un prius che Marx considerato nel Capitale trattando il duplice carattere della merce e del lavoro in essa contenuto. La merce in quanto “cellula” della società borghese «riflette in sé il rapporto tra natura e processo storico […], contiene la natura come “essere in sè” e come “essere per altro”»[34]. Per Marx il valore è qualcosa di puramente sociale, una cosa “soprannaturale”, mentre il valore d’uso è una proprietà puramente naturale, in cui il materiale naturale è filtrato dal lavoro umano, orientato verso uno scopo teleologico. Questo duplice lato del lavoro contenuto in una merce (astratto e concreto) non è però empiricamente scindibile, in quanto i due momenti sono contenuti dialetticamente in una stessa merce. Quindi si tratta per Schmidt di spiegare «la concreta dialettica di immediatezza e mediatezza dell’essere materiale, nella sua forma di volta in volta esistente»[35]. All’interno dei rapporti sociali capitalistici domina la forma feticistica, caratterizzata dall’inversione tra qualità naturali e sociali: «la determinatezza naturale delle merce appare come sociale, e quella sociale come naturale»[36]. Il punto del ragionamento marxiano attiene al fatto che i rapporti sociali sono cosificati nella forma-merce, ma avvengono in base a presupposti naturali. L’elemento feticistico riguarda l’inversione tra qualità naturali e sociali nella forma mistificata dell’oggettualità spettrale prodotta dalle relazioni sociali capitalistiche. Lo stesso si dica per il lavoro contenuto nella merce: nel capitalismo è il lato astratto del lavoro (come forma specifica del lavoro di questo modo di produzione) a dominare quello concreto. Però è sempre presupposto «un sostrato naturale irriducibile a determinazioni sociali umane […] e tutti i rapporti sociali sono mediati da cose naturali e viceversa […], sono sempre rapporti degli uomini “tra loro e con la natura”»[37].

Qui Schmidt richiama un lungo brano di SCC, dove Lukács affermava che “la natura è una categoria sociale” [38]. Per lui Lukács cade in una forma di soggettivismo, in cui l’elemento sociale e i modi di appropriazione storici della natura vengono risolti in sé stessi e il lato della soggettività umana svolge il ruolo di plasmatore della realtà oggettiva. Se è vero che i modi storici e sociali sono condizione di conoscenza della natura, per cui «la natura è categoria sociale, è vero anche l’inverso, che la società è una categoria naturale»[39]. Per Schmidt cioè la natura e le leggi naturali esistono indipendentemente dall’uomo, ma l’enunciazione della natura attraverso l’uso di metafore sociali (si ricordi il caso di Darwin) è condizione per la conoscenza della natura stessa da parte dell’uomo. Il mondo materiale non è un prodotto dell’uomo che invece lo “filtra” attraverso il lavoro, conoscendo tramite la prassi le leggi proprie della natura, per trasformarla quest’ultima attraverso la sua conoscenza. L’oggettività naturale non si sopprime, come erroneamente credeva il Lukács di SCC (che non mancherà peraltro di auto-criticarsi nella prefazione del 1967 già analizzata). La soppressione avviene sul terreno del carattere sociale estraniato di tale oggettività, propria del modo di produzione capitalistico. Se il giovane Marx aveva seguito la critica di Bruno Bauer e dei giovani hegeliani al maestro di Stoccarda, lo stesso Hegel secondo Schmidt era lontano da tale impostazione “immaterialista” e “soggettivistica”[40].

Per Schmidt Marx segue l’adagio di Francesco Bacone secondo il quale la natura può essere dominata solo se ci si sottomette alle sue leggi (“nature is only subdued by submission”). La natura non è risolvibile, come voleva il Lukács di SCC, nelle forme dall’appropriazione umana ma essa può essere mediata socialmente solo a partire dalla conoscenza delle leggi sue proprie. La dialettica marxiana attiene al fatto che «le forme di movimento della materia possono venir riconosciute e applicate in modo funzionale agli uomini attraverso la prassi mediatrice»[41]. Il materialismo è tale perché riconosce l’esistenza di leggi naturali che sono fuori dall’uomo, mentre adottare un procedimento dialettico, significa sottintendere che «gli uomini possono rendersi conto di queste legalità soltanto attraverso le forme dei processi lavorativi»[42]. La storia naturale è presupposto della storia sociale, per la quale gli “organi produttivo dell’uomo” sono un prolungamento sociale delle basi naturali, a partire dai più semplici strumenti di produzione fino alle più complesse opere dell’ingegneria umana. Il fine di queste opere è solo quello posto dagli uomini all’interno della produzione: la società è dominata dalla teleologia propria dell’uomo che presuppone come base irriducibile il mondo della natura. Il mezzo di lavoro proprio dell’uomo è frapposto fra sé stesso e l’oggetto del lavoro, questo medio tecnologico è il mezzo con cui l’uomo congiunge sé stesso con la natura e la modifica in un processo dialettico.

Nell’ultima sezione del Concetto di natura in Marx, Schmidt elabora alcuni temi della sua critica all’ontologia, che, come abbiamo visto, ha sempre come scopo la fondazione di un materialismo dialettico su basi differenti rispetto al diamat: basi non dogmatiche e non ontologiche. Il contributo di Engels è criticato ma alcuni suoi motivi vengono salvati, in particolare la considerazione della materia naturale come qualcosa che in primo luogo si caratterizza come esterna all’uomo. In sostanza, per Schmidt, «Marx non è un ontologo»[43]. Piuttosto egli si fa portatore di “un’ontologia negativa” (come sottotitola il paragrafo 2.2 del testo preso in esame). Se è vero che il ricambio organico tra uomo e natura è descrivibile a partire dal nesso tra un soggetto, un oggetto e un mezzo di lavoro, noi conosciamo solo le forme concrete con cui questo nesso sociale si manifesta nei vari modi di produzione. Ciò che rimane è la necessità di mediazione tra uomo e natura, che è trans-storica. Persino nel comunismo «la necessità, secondo Marx, sarà dominata e gli uomini si troveranno a lottare con la natura materiale e non più tra loro, […] questa lotta significherà che l’umanità senza classi avrà di fronte a sé qualcosa di non identico a lei, […] si può quindi parlare in qualche modo di un’ontologia sia pure negativa»[44].

Se il ricambio organico è secondo Marx “una necessità eterna”, anche nel comunismo si dimostra il carattere finito dell’uomo come ente naturale. Secondo Schmidt «Marx concilia tra loro libertà e necessità sulla base della necessità»[45]. L’influenza esercitata su Schmidt dai temi psicoanalitici (importante il ruolo di Adorno e Horkeimer) è qui evidente, quando il pensiero Marx viene associato a quello di Freud (con un richiamo a Schopenauer). Il “principio di realtà” è messo in relazione al carattere finito dell’uomo; gli uomini come soggetti storici – scrive Schmidt – «si distaccano dalla natura, devono, per riprodurre la propria vita, contrastare la natura, lavorarla, negarla: e ciò significa, in tutte le forme di società, rinuncia agli istinti e loro negazione»[46]. Va detto che il tono di Schmidt in quest’ultima parte è contrassegnato da un forte realismo e da toni apertamente pessimistici sul finale del testo[47]. Lucio Colletti aveva individuato in questo “cedimento” pessimistico la parte più debole della riflessione di Schmidt, a suo avviso troppo debitrice verso i maestri francofortesi[48].

 

4. Conclusione. La critica ad Engels tra Schmidt e Lukács

Come abbiamo visto è presente sia in Lukács che in Schmidt un tentativo di risignificare il materialismo dialettico su base non-ontologica. Nel caso di Lukács questo sviluppo condurrà all’elaborazione di un’ontologia dell’essere sociale, in radicale rottura rispetto ad Engels. Per quanto riguarda Schmidt ciò porterà invece all’elaborazione di un’ontologia negativa, in si riconosce un limite naturale all’agire sociale. A partire dalla categoria hegeliana del punto di vista teleologico finito, l’atto teleologico è centrale in Schmidt e ci parla dell’agire dell’uomo sociale come un agire legato a fini immanenti iscritti nella dinamica storica: una dinamica in cui l’umanità si pone marxianamente solo i problemi che è in grado di risolvere. Per il tardo Lukács dell’Ontologia, l’atto teleologico è fondamento dell’agire sociale ed è identificato con il lavoro come mediazione e ricambio organico tra uomo e natura. Sempre nell’Ontologia viene criticata la prospettiva engelsiana per cui l’essere viene logicizzato e le categorie di matrice hegeliana vengono applicate all’oggetto dall’esterno: si tratta di una dialettica logica, e non ontologica, che nega la derivazione dell’astratto dal concreto. Una riflessione molto simile è svolta da Schmidt, per il quale l’applicazione engelsiana di categorie logiche hegeliane alla realtà conduce a un esito dogmatico e metafisico. Inoltre, per Schmidt la dialettica engelsiana è una dialettica presociale, oggettiva e naturalistica in cui manca l’elemento della mediazione sociale, sola vera custode della dialettica come intreccio tra elemento soggettivo e oggettivo nella prassi umana. E solo la dialettica, secondo l’autore, è capace di farci conoscere la natura. Questa riflessione deve molto al Lukács di SCC, in cui si sottolineava come la dialettica appartenesse intimamente al mondo sociale e non a quello naturale. Schmidt è però critico dell’impostazione di SCC sul versante del rapporto tra oggettivazione ed alienazione. In questo senso, anticipa un elemento fondamentale della stessa autocritica lukácsiana del 1967. Se per Schmidt l’oggettività naturale è un prius che viene mediato socialmente, la natura è sì una categoria sociale – come voleva Lukács – ma anche la società è una categoria naturale: i modi dell’appropriazione sociale non risolvono mai la natura nella società; l’oggettività non è posta dall’uomo, che la filtra nei modi e nelle forme della produzione.

Ci pare che entrambi gli autori sviluppino quindi una critica ad Engels, a partire dalla sua mancata comprensione della dialettica. Come è stato messo recentemente in luce, la differenza tra la concezione della dialettica di Engels e quella di Marx è significativa[49]. A partire dalla valutazione che Marx stesso ne fa nel proscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale, non si tratta di applicare la dialettica hegeliana tout court al mondo sociale e a quello naturale, ma piuttosto di rovesciarla. Come sottolineava Lucio Colletti, criticando Engels, non si tratta cioè semplicemente «di “applicare” la dialettica di Hegel alle cose […], ma di vedere come la materia, le cose, entrino a strutturare la nuova dialettica»: di comprendere cioè come essa «si configuri, una volta che non sia più dialettica di puri pensieri»[50].

 

Note: 

[1] Per una ricostruzione della vicenda di questo testo si veda R. Bellofiore, Materialismo, dialettica e prassi emancipatrice: l’attualità inattuale di Alfred Schmidt, in A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Punto Rosso, Milano, 2017.

[2] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Punto Rosso, Milano, 2017, p. 69.

[3] Ivi, p. 70.

[4] Ivi, p. 81.

[5] Ivi, p. 82.

[6] Ivi, p. 83.

[7] Ivi, p. 84.

[8] Ivi, p. 90.

[9] Ibidem.

[10] Ivi, p. 91.

[11] Questo è evidente dalla nota 122 del Concetto di natura in Marx, dove Schmidt fa riferimento a Götz Redlow e George L. Kline, per argomentare come in Urss il carattere del materialismo dialettico abbia conosciuto una prima fase ontologica legata all’influenza del filosofo Deborin per poi orientarsi, dopo lo stalinismo, verso una variante ontologico-realista, vicina alle posizioni di N. Hartmann, che è una delle influenze filosofiche maggiori per il Lukács dell’Ontologia dell’essere sociale. Cfr. Ivi, pp. 91-92.

[12] Ivi, p. 92.

[13] Ivi, p. 93.

[14] Ivi, p. 99.

[15] Ivi, p. 100.

[16] Ibidem.

[17] Ecco il contenuto della nota: «Darwin ha richiamato l’interesse sulla storia della tecnologia naturale cioè sulla formazione degli organi della pianta e dell’animale come strumenti di produzione della loro vita: non merita forse uguale attenzione la storia degli organi produttivi dell’uomo sociale, che costituiscono la base materiale di qualunque organizzazione della società? E non sarebbe più facile ricostruirla dal momento che, come dice Vico, la storia umana si distingue dalla storia naturale perché noi non abbiamo fatto la seconda e abbiamo fatto la prima? La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo nei confronti della natura, il processo di produzione immediato della sua vita e, quindi, anche dei suoi rapporti sociali e delle idee che ne provengono.» K. Marx, Il capitale, Libro I, op. cit.  pp. 502-503.

[18] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, op. cit., p. 104.

[19] K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica, Quodlibet, Macerata, 2010, p. 41.

[20] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, op. cit., p. 105.

[21] Ibidem. Sul punto mi permetto di rinviare al mio articolo F. Bugli, La natura come categoria sociale e la società come categoria naturale. Note su Marx e Darwin in Sulla guerra, in “Altraparola”, 8, 2022, pp. 159-168.

[22] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, op. cit., p. 109. «La scienza della natura sussumerà in futuro sotto di sè la scienza dell’uomo, così come la scienza dell’uomo la scienza della natura: non ci sarà che una scienza» K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Feltrinelli, Milano, 2018, p. 78.

[23] Ivi, p. 110.

[24] Ivi, p. 112.

[25] Ivi, p. 115.

[26] Ibidem.

[27] Per un approfondimento si rinvia sempre a R. Bellofiore, Materialismo, dialettica e prassi emancipatrice: l’attualità inattuale di Alfred Schmidt, in A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, Punto Rosso, Milano, 2017.

[28] Ivi, p. 116.

[29] Ivi, p. 118.

[30] Ibidem.

[31] Cfr. Ivi, p. 122.

[32] Ivi, p. 124.

[33] Ivi, p. 127.

[34] Ivi, pp. 127-128.

[35] Ivi, p. 130.

[36] Ivi, p. 131.

[37] Ivi, p. 132.

[38] Cfr. G. Lukács, Storia e coscienza di classe, op. cit., p. 291.

[39] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx,op. cit., p. 131.

[40] Schmidt osserva giustamente che la critica di Bauer è fuori fuoco rispetto ad Hegel. In questa critica, infatti, lo spirito è ridotto ad un’autocoscienza di sapore fichtiano e schellinghiano piuttosto che hegeliano. Lo stesso Lukács aveva individuato i limiti di tale lettura di Hegel nella prefazione del 1967 a SCC. Trovo utile riportare una citazione dello stesso Schmidt: «anche Marx nella sua polemica mette talvolta in uno stesso mazzo l’idealismo hegeliano con quello dei giovani hegeliani, egli però è consapevole della differenza essenziale fra idealismo oggettivo e i vari tipi d’idealismo soggettivo.» Nota 270, Ivi, p. 134. Per una ricostruzione della lettura marxiana di Hegel e del suo rapporto con quella dei giovani hegeliani vedi R. Fineschi, Marx e Hegel. Contributi ad una rilettura, Carocci, Roma, 2006, la valutazione di Fineschi è meno ottimistica sulla contezza della lettura marxiana di Hegel rispetto a Schmidt.

[41] A. Schmidt, Il concetto di natura in Marx, op. cit., p. 164.

[42] Ivi, p. 165.

[43] Ivi, p. 150.

[44] Ivi, p. 152.

[45] Ivi, p. 209.

[46] Ivi, p. 213.

[47] Secondo Schmidt lo sviluppo delle forze produttive (nell’era atomica) rischia di portare verso «il disastro totale: quasi una atroce parodia del mutamento pensato da Marx, in quanto soggetto e oggetto vengono non conciliati ma distrutti». Ivi, p. 242.

[48] «La nostra impressione, a parlar franco, è che Schmidt sia assai più positivo e concreto dei suoi maestri; e che, nel corso dei suoi pensieri, essi abbiano inciso assai poco, salvo forse che in alcune delle pagine meno felici del capitolo quarto» L. Colletti, Introduzione, in Ivi, p. 62.

[49] Vedi G. Sgrò, Friedrich Engels e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Orthotes, Napoli-Salerno, 2017.

[50] L. Coletti, Il Marxismo ed Hegel, Laterza, Bari, 1969, p. 100.