Un melodramma africano al tempo delle leggi razziali: Sotto la croce del Sud di Guido Brignone – di Diego Battistini
di Diego Battistini
Il colonialismo italiano (al cinema) tra propaganda e melò
Dall’ottobre del 1935 al maggio del 1936 l’Italia fu impegnata nella conquista dell’Etiopia. L’evento comportò un ampio coinvolgimento della propaganda nazionale e interessò, in modo diverso e solo parzialmente strutturato, tutti i media a disposizione del regime fascista[1].
Anche il cinema dette il suo contributo alla causa coloniale, e lo fece sia attraverso l’Istituto LUCE, sia attraverso un esiguo ma importante numero di pellicole di fiction che vennero prodotte all’indomani della conquista, tra 1936 e il 1939[2].
Tra i film prodotti in quegli anni, uno dei più interessanti è Sotto la croce del sud, realizzato nel 1938 da Guido Brignone[3]. Si tratta del primo film che affronta il problema del dopoguerra nelle colonie, «il film della pace»[4], secondo la definizione di un anonimo recensore della rivista «Film», e racconta la storia di un gruppo di coloni che giungono nella regione etiopica del Galla e Sidama dopo la fine delle ostilità.
Il film ebbe una gestazione travagliata. La prima stesura della sceneggiatura fu scritta da Jacopo Comin, giornalista e critico cinematografico che avrebbe dovuto anche dirigere il film; la volontà dell’autore era quella di realizzare un «romanzo popolare»[5] capace di raccontare – con realismo – la vita dei coloni italiani in Etiopia. Le cose però andarono diversamente. A poche settimane dalla partenza della troupe per il Corno d’Africa la produzione chiese a Comin di modificare la sceneggiatura in modo da rendere il film più commerciale. Di fronte al rifiuto dello sceneggiatore e regista, la produzione decise di far riscrivere il film a Luigi Chiarelli, estromettendo Comin dal progetto e affidando la regia all’esperto Brignone.
Discostandosi dall’idea originale di Comin, Brignone e Chiarelli modellarono la trama del film sul genere avventuroso d’ambientazione esotica[6] e sul melodramma[7], facendo ruotare la narrazione attorno all’attrazione fatale tra il giovane colono italiano Paolo e la razzialmente ambigua Mailù, sfruttando il genere per il suo caratteristico «rimescolare le pulsioni di eros e thanatos»[8].
Paolo Mereghetti ha definito il film «un noir esotico»[9], e in effetti l’ambientazione, caratterizzata da «atmosfere da mari lontani»[10], tradisce l’interesse del film a confrontarsi con il modello americano. Il richiamo (ante litteram) al genere noir è esplicitato sia dalla caratterizzazione della femme fatale Mailù, sia dalle soluzioni stilistiche adottate da Brignone, in modo particolare dall’uso di un’illuminazione che privilegia i forti contrasti (quasi espressionisti) tra luci ed ombre.
Naturalmente questi elementi stilistici che potremmo definire, parafrasando Alberto Farassino, «internazionali»[11], si sposano con topoi legati all’ideologia dell’epoca e permeati dalla retorica fascista e coloniale; come afferma Gian Piero Brunetta, Sotto la croce del sud mostra un’immagine delle colonie «più complessa e articolata rispetto alle opere [coloniali] precedenti» e appare «in perfetto accordo con la propaganda fascista»[12]. In effetti, l’opera di Brignone affronta due aspetti profondamente legati all’imperialismo italiano dell’epoca: da una parte l’inevitabile esaltazione dell’impresa coloniale, dall’altra (ed è l’aspetto che più ci interessa) le implicazioni razziali che questa impresa coloniale determinò e come tale aspetto contribuisce, nel film, alla definizione di quello che abbiamo definito spazio perturbante.
La colonia come «spazio perturbante»
Scrive Paola Carmignani che l’esotismo è «una rappresentazione immaginaria dell’Altro e dell’Altrove, che si costruisce a partire da una proiezione dei desideri del soggetto»[13]. È questo processo che definisce lo spazio esotico.
Certo è utile ricordare che questa rappresentazione dell’esotico promuoveva l’affermazione di una serie di cliché che avevano lo scopo di “imprigionare” questo Altrove addomesticandolo, perché tale spazio sconosciuto era ritenuto un’insidia e una minaccia per l’uomo occidentale.
Lo spazio esotico in quanto spazio controllato può anche manifestare però un lato oscuro, generato dalle paure del soggetto. Nel momento in cui costringere tale spazio appare impossibile, si crea quello che abbiamo definito spazio perturbante, termine con il quale si vuole fare riferimento al concetto freudiano secondo il quale il perturbante indica un qualcosa d’indefinito che suscita spavento perché non familiare[14].
Questa degenerazione dello spazio esotico in spazio perturbante avviene nel momento in cui il soggetto occidentale, posto a confronto con una realtà che egli crede di conoscere e di potere dominare, si rende conto dell’impossibilità di comprenderla e, di conseguenza, di soggiogarla.
All’interno del cinema coloniale italiano, che già aveva rinnegato lo spazio esotico a favore di quello che potremmo definire lo spazio della conquista (decisamente meno romantico e più consono alla propaganda fascista), il perturbante si manifesta, in prima istanza, nella raffigurazione dell’altro indigeno: nemesi dell’uomo nuovo fascista, che spesso appare sfuggente, quasi indefinita (come in Lo Squadrone bianco) o assume addirittura sembianze spettrali (è il caso de Il grande appello).
Tornando a Sotto la croce del sud, il film è ambientato successivamente alla proclamazione dell’impero e l’altro indigeno, ormai soggiogato (almeno nella realtà cinematografica)[15] non è più una minaccia, bensì un fedele servitore. Proclamato l’impero, si staglia all’orizzonte un nuovo antagonista, un “nemico contro natura”: il meticcio.
Il problema razziale (e soprattutto della commistione razziale) è al centro della narrazione del film e non potrebbe essere altrimenti in un periodo storico contraddistinto dalla promulgazione delle leggi razziali, triste accadimento di certo non estraneo alle imprese coloniali, come sottolineato anche dallo stesso Mussolini:
Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso […]. È in relazione alla conquista dell’impero; poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi, ma si tengono con il prestigio. E per il prestigio occorre una chiara e severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime[16].
In Sotto la croce del sud gli antagonisti dei coloni italiani sono così due personaggi razzialmente ambigui, definiti nel film «levantini»: l’infido Simone, che ha occupato illegalmente il terreno di proprietà dell’anziano colono Marco, e la di lui compagna Mailù.
È proprio in relazione con il personaggio di Mailù che è possibile evincere in Sotto la croce del sud un altro tipo di declinazione dello spazio perturbante, questa volta legato al tema (mortifero) dell’erotismo. Se è vero che l’Africa rappresentata nel film «appare come una tentatrice, ancora seducente con i suoi tabù»[17], è anche vero, come sottolinea Marcia Landy, che Mailù è una personificazione del fascino perturbante del territorio africano, oltre che un personaggio ambiguo capace di chiamare in causa aspetti legati, come anticipato, alla preservazione del prestigio della razza da parte degli italiani conquistatori[18]. Come vedremo, è proprio la descrizione della donna che contribuisce alla determinazione dello spazio perturbante.
Parlami d’amore (malsano) Mailù
Mailù è una figura «doppiamente altra» rispetto ai coloni italiani, trattandosi non solo di una donna, ma anche di una meticcia. Le sue origini sono misteriose, anche se in occasione di un dialogo fra lei e Simone, l’uomo sembra alludere a un passato da prostituta.
Come ha giustamente sottolineato Robin Pickering Iazzi, Mailù è rappresentata come un prodotto ibrido combinato attraverso la fusione di culture differenti, come dimostrano anche gli innumerevoli cambi d’abito del personaggio durante la narrazione (dapprima Mailù si presenta con un abito tipicamente africano, che la lega indissolubilmente allo spazio che abita, salvo poi indossare anche indumenti di chiara ascendenza orientale)[19].
Mostrata sempre «avvolta dai segni iconici che il pubblico avrebbe associato con una decadenza tipica della Garbo»[20], quali le sigarette e il fonografo, Mailù diviene l’oggetto del desiderio di tutti i giovani coloni, ma è soprattutto il protagonista, l’ingegnere Paolo Dei – quello che a primo avviso appare come la quintessenza dell’uomo nuovo agognato dal fascismo -, ad essere stregato dal fascino ammaliante della donna.
Lungo il corso della narrazione, lo spettatore può facilmente evincere il lento (ma inesorabile) avvicinamento di Paolo alla femme fatale Mailù. A seguito del loro primo incontro, alla presenza anche dei personaggi di Simone e Marco, ulteriori scene mostrano il crescente del desiderio di Paolo nei confronti della donna. Indicative, a tale proposito, sono due sequenze sulle quali è bene soffermarsi.
La prima descrive una festosa cena organizzata dei coloni italiani per celebrare l’arrivo alla concessione di Marco. La scena è osservata a distanza da Mailù che, per “contrastare” il coro dei coloni che si cimentano in canti popolari, accende il proprio grammofono per ascoltare la sua canzone preferita: «Sotto la croce del sud». Il suono del grammofono sovrasta il canto degli uomini, i quali volgono all’unisono lo sguardo verso gli appartamenti della donna, ma fra loro è solo Paolo che, dopo aver intravisto Mailù, decide di prendere congedo dai propri compagni recandosi dalla donna, la quale è inquadrata in campo lungo, mentre passeggia e fuma seminascosta nell’oscurità, ed è rappresentata come l’emblema di una pulsione oscura verso cui Paolo è richiamato.
L’attrazione di Paolo nei confronti di Mailù raggiunge il suo culmine nella sequenza che descrive la «fantasia» indigena. Di fronte alla danza, all’erotismo che si manifesta attraverso l’immagine dei giovani indigeni (ragazzi e ragazze) che si scambiano effusioni amorose strofinandosi vicendevolmente il naso e le labbra in un crescendo di suoni che sembrano replicare un amplesso sessuale, Paolo, che osserva da lontano lo spettacolo, cambia improvvisamente espressione del viso, come fosse caduto preda di istinti primordiali. Se l’Africa risveglia questi istinti in Paolo, l’oggetto del desiderio dell’ingegnere è sempre Mailù; non è un caso, infatti, che alla prima inquadratura di Paolo si lega quella successiva di Mailù, lascivamente seduta su una sedia a sdraio situata nella veranda dei propri appartamenti. L’inquadratura di Mailù che segue quella di Paolo, legandosi ad essa, diviene la rappresentazione di uno stato mentale dell’uomo: Mailù è l’oggetto del desiderio del giovane colono. Mosso dal desiderio verso la donna, Paolo non può fare a meno che raggiungere Mailù. Giunto vicino a lei, il giovane le si corica accanto; un primo piano della donna sembra voler sottolineare il potere del fascino che la levantina esercita su Paolo, il quale è indotto a baciarla, mentre lei, serrando con le braccia il capo di lui, lo conduce con decisione verso di sé, imprigionandolo in una morsa mortifera.
Provando dapprima attrazione per la donna e successivamente lasciandosi vincere dalla pulsione verso di lei, Paolo, di fatto, si «insabbia»[21], perché viene meno ai suoi obblighi di conquistatore e uomo fascista. Nel clima razziale di quegli anni, in cui il primo comandamento era quello di preservare la purezza della razza, l’ (anti)eroe del film è costretto a fare i conti con una colonia seducente che ne mette a nudo la propria fragilità e il proprio condizionamento da impulsi meramente fisici: «L’anarchia intima, e cioè i proprio disordine sentimentale e fisiologico che quasi lo accomuna agli indigeni, è il principale nemico del bianco in terra d’Africa»[22].
L’Africa descritta da Sotto la croce del sud ha il potere di far sprofondare in un gorgo capace di risucchiare coloro che rimangono ammagliati dalla sua terrificante bellezza (e soprattutto dalle sue altrettanto terrificanti bellezze). Nel 1938, a due anni di distanza dall’entrata trionfale delle truppe guidate dal generale Badoglio ad Addis Abeba, il film sembra ricordare agli italiani che, seppur colonizzata, l’Africa rimane un territorio minaccioso. Quello che abbiamo definito spazio perturbante e tutti quegli elementi che lo caratterizzano (a partire dalla figura di Mailù) si palesano, quindi, come l’altra faccia del colonialismo italiano: il suo cuore di tenebra.
Note:
[1] Cfr. A. Mignemi (a cura di), Immagine coordinata per un impero, Gruppo Editoriale Forma, Torino, 1984.
[2] I film prodotti furono 8: Squadrone bianco (Augusto Genina, 1936), Il grande appello (Mario Camerini, 1936), Scipione l’Africano (Carmine Gallone, 1937), Sentinelle di bronzo (Romolo Marcellini, 1937), Luciano Serra pilota (Goffredo Alessandrini, 1938), Sotto la croce del sud (Guido Brignone, 1938), Piccoli naufraghi (Flavio Calzavara, 1939) e Abuna Messias (Goffredo Alessandrini, 1939). Per quanto concerne la storia dei «film dell’impero», cfr. R. Ben-Ghiat, Italian Fascism’s Empire Cinema, Indiana University Press, Bloomington, 2015.
[3] Sulla figura di Guido Brignone, cfr. O. Caldiron, Cinema all’antica italiana, in Id. (a cura di), Storia del cinema italiano, vol. V, 1934-1939, Marsilio-Bianco e Nero, Venezia-Roma, 2006, pp. 196-197.
[4] Anon., Sotto la Croce del Sud, in «Film», n° 32 (1938), p. 4.
[5] Anon., Sotto cenere: Jacopo Comin, in «Cinema», n° 41 (1938), p. 162.
[6] Cfr. M. Coletti, Il cinema coloniale italiano tra propaganda e melò, in O. Caldiron (a cura di), op. cit., p. 361.
[7] Sheelleen Greene, discorrendo sullo stile del film, ha parlato di uno stile a metà strada fra realismo e calligrafismo, cfr. S. Greene, Equivocal Subject: Between Italy and Africa-Constructions of Racial and National Identity in the Italian Cinema, Bloomsbury, New York-London, 2014, pp. 63-66.
[8] A. Pezzotta, Introduzione, in Id. (a cura di), Forme del melodramma, «Quaderni di Film Critica», n° 23 (1992), p. 18.
[9] P. Mereghetti, Il Mereghetti. Dizionario dei film 2014, Baldini&Castoldi, Milano, 2013, p. 3594.
[10] V. Zagarrio, Cinema e storia. Film, modelli, immaginari, Marsilio, Venezia, 2004, p. 168.
[11] A. Farassino, Cosmopolitismo ed esotismo nel cinema europeo fra le due guerre, in G.P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema italiano: L’Europa, vol. I, Einaudi, Torino, 2001, p. 498.
[12] G.P. Brunetta, Il cinema italiano di regime. Da «La canzone dell’amore» a «Ossessione», Laterza, Roma-Bari, 2009, p. 129.
[13] P. Carmignani, Luoghi di tenebra. Lo spazio coloniale e il romanzo, Aracne, Roma, 2011, p. 32.
[14] Cfr. S. Freud, Il perturbante, in Id., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 1969, p. 271.
[15] Cfr. C. Boggio, Black Shirts/Black Skins: Fascist’s Italy’s Colonial Anxieties and “Lo Squadrone bianco”, in P. Palumbo (a cura di), A Place in the Sun. Africa in Italian Colonial Culture from Post-Unification to the Present, University of California Press, Berkeley, 2003, p. 279.
[16] B. Mussolini, Discorso di Trieste (18 settembre 1938), in Id., Opera Omnia, vol. XXVIII, Dalla proclamazione dell’impero al viaggio in Germania (10 maggio 1936-30 settembre 1937), a cura di E. Susmel e D. Susmel, La Fenice, Firenze, 1959, p. 146.
[17] J. Hay, Popular Film Culture in Fascist Italy. The Passing of The Rex, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 1987, p. 193.
[18] Cfr. M. Landy, The Folklore of Consensus. Theatricality in the Italian Cinema, 1930-1943, State University of New York, Albany, 1998, p. 199.
[19] R. Pickering Iazzi, Ways of Looking in Black and White: Female Spectatorship and the Miscege-national Body in “Sotto la croce del sud”, in J. Reich, P. Garofalo (a cura di), Re-Viewing Fascism: Italian Cinema, 1922-1943, Indiana University Press, Bloomington, 2002, pp. 207-208.
[20] M. Landy, op. cit., p. 199.
[21] All’epoca si definiva «insabbiato» colui che aveva rapporti sessuali con donne indigene. Nel caso specifico di Paolo, il legame è con una meticcia, ma il processo di “degradamento” che coinvolge il colono italiano è pur sempre il medesimo.
[22] A. Ferrara, Con i barbari, contro i barbari. Vita e guerra in Africa, Rispoli, Napoli, 1940, p. 235.